CAPETIEMPE, L’ARCAICO CAPODANNO ABRUZZESE.HALLOWEEN E OGNISSANTI SPIEGATI DA MONACO

Novembre 1, 2023 7:49

L’AQUILA – Halloween, tutti i santi festa dei morti? No, prima ancora “capetiempe”, che nell’Abruzzo antico e profondo era quel periodo dell’anno che va dalla notte del 31 ottobre all’11 novembre, San Martino, e che rappresentava il vero capodanno, il punto da cui tutto finisce, e altro ricomincia, dopo la conclusione dell’anno agricolo con la vendemmia. Quando era importante ricordare e placare i morti, propizi al futuro raccolto, nella stagione in cui il sole, simbolo di vita, diminuisce la sua potenza e le giornate si accorciano e la luce agonizza. Quando la terra si addormenta in attesa della rinascita.

Il grande merito di aver riscoperto il senso profondo di questa parola, capetiempe è da ascrivere a Vittorio Monaco, di Pettorano Sul Gizio, in provincia dell’Aquila, scomparso nel 2009, professore di italiano e latino, sindaco, e studioso  che si è interessato di cultura popolare e di letteratura italiana in lingua e dialetto.

La sua opera più importante è appunto “Capetiempe, capodanni in Abruzzo”, che ha avuto un enorme successo di vendite e critica ben oltre i confini regionali. A vittorio Monaco è dedicato oggi un Centro ricerche studi, che divulga la sua opera e organizza anche un premio giunto quest’anno la XXIII edizione.

In una sua intervista, trascritta e conservata dal Centro ricerche, è lo stesso Vittorio Monaco, poco prima di morire, a illustrare il senso profondo del capetiempe.

“I riti che vi si praticavano, legati al ricordo dei morti, erano a tutti gli effetti riti di capo d’anno e si svolgevano nei primi giorni di novembre – esordisce lo studioso -. Una religiosità contadina che in seguito viene battezzata, per cosi dire, dal cristianesimo. Del resto la distinzione tra paganesimo e cristianesimo è estranea al contadino. Perché egli vive la sua religiosità come un complesso unitario, in cui i riti e le manifestazioni sono tutt’uno con la loro dimensione naturale. E il messaggio cristiano viene accolto all’interno di questa dimensione: vive nel rapporto organico dell’uomo con la natura. La cultura contadina esprime un cristianesimo popolare che non segna uno stacco netto dai riti religiosi pagani. Saranno la figura di Gesù e la pietas di cui egli si fa portatore ad essere riconosciuti e a facilitare il processo di identificazione con il cristianesimo”.

E prosegue, “Gesù è colui che soccorre, il gran soccorritore, ma è anche colui che tocca il fondo di ogni umana sofferenza e raggiunge il punto oscuro del dolore. Il contadino vive un’esistenza di sofferenze e privazioni: riconosce il proprio dolore nel dolore incarnato dalla figura di Gesù. E Gesù chiama l’uomo ad identificarsi nel dolore, inducendo al pathos e quindi al soccorso, in una parola alla pietas. E anche la resurrezione assume un significato e una dimensione fitomorfica, naturalistica: è dentro il ciclo naturale della vita, è il seme che rinasce e diventa grano. Una religiosità naturalistica come quella che abbiamo decritto, assume implicazioni utilitaristiche: coltivo i morti perché siano propizi al raccolto”.

Per accrescere il vigore della natura attraverso i riti, dunque. Nella mentalità popolare arcaica la natura è un organismo vivente e l’uomo è un essere ctonio, una forza sotterranea che nasce dalla terra e torna alla terra – prosegue Monaco -. Cosi, si alimentano i morti per continuare ad alimentare la terra, la natura, in un moto circolare che è quello eterno del ciclo biologico. E Capètiempe rappresenta il capo d’anno delle stagioni, dell’alternarsi naturale delle stagioni,  che si alternano in modo circolare (semina, fioritura, raccolta e di nuovo semina): la loro vicenda è scandita secondo il movimento del moto degli astri che tornano eternamente, di ciclo in ciclo, al punto di partenza”.

Una manifestazione di eternità, li definisce Monaco: “l’eternità è questo cosmo. Pensiamo a Eraclito: il mondo esiste da sempre, non è stato creato né dagli uomini né dagli dei. L’eternità è la grande madre generatrice, a cui si affianca la piccola madre, il cui organo genitale si chiama natura, e la natura è alma mater, colei che dà appunto la vita. Pensiamo ai culti dedicati alla Madonna, laddove la figura di Maria nella ritualità popolare ha sostituito Giunone e Cerere, simboli della fertilità e delle messi”.

Infine i simboli e riti del capetiempe, che sono anche quelli di Halloween, come zucche, ma anche crani, candele, corna e questua.

“E’ la parodia, il gioco del rovesciamento in cui c’è l’ irriverenza contro la cultura alta, ma non si rintraccia la dissacrazione profana né blasfema. La sede della divinità generatrice è negli organi genitali che sono anche simbolo di fertilità e forza vitale: sono loro che alimentano la vis generativa della natura, insieme alle divinità ctonie (il sottosuolo, il seme) e a quelle superiori (il cielo, la pioggia, ecc.). I riti dissacrano la dottrina dei chierici e dei letterati, ma celebrano la potenza della natura. Basti pensare a San Martino, giorno di baldoria in tutti i suoi aspetti formali e alimentari, e al significato della figura del santo protettore dei cornuti e, più in generale, della potenza, vis appunto, generatrice”.

Conclude Monaco: “La cultura che ha generato i riti antropologici, quell’insieme di classi subalterne che appartenevano alla civiltà preindustriale, non c’è più. Quel mondo è finito prima del boom economico degli anni sessanta. Oggi abbiamo il popolo fruitore, la massa, la moltitudine indifferenziata di individui di ogni ceto e cultura: la gente, the people. L’impegno, allora, delle istituzioni e anche degli artisti in generale sarà quello offrire questi riti in una forma che non si limiti solo allo svago, al divertimento sradicato e inerte; ma faccia in modo di ricostruire una memoria, in un incontro con una cultura di valori degni di essere riflettuti e considerati e riproposti come interlocutori della modernità. Anche Halloween mi sta bene in questo senso. A patto che si abbia la consapevolezza che la tradizione che arriva dagli Stati Uniti è una tradizione di ritorno: che è l’Europa – e l’Italia – il luogo originario. E il significato, la parola italiana di Capotempo, usata già da Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso, d’altra parte, conserva ancora il senso del capodanno, del capodanno celtico, che, non va dimenticato, cadeva il 31 di ottobre”. Filippo Tronca