CASO PRIOLI, COOPERANTE VIOLENTATA IN SUDAN NEL 2016: “IO LASCIATA SOLA DALL’ITALIA”

Marzo 22, 2021 11:44

L’AQUILA – “È una posizione burocratica, di difesa, dicono che mi hanno aiutato fin all’inizio, ma non è vero, sono stata lasciata sola: sono offesa dalla risposta del governo alla interrogazione parlamentare presentata da Pezzopane, Boldrini e altre deputate”.

Parte dall’attualità e cioè dalla replica alle argomentazioni formulate sul suoi caso dal Governo italiano, in particolare il Ministero degli Affari esteri, il racconto della cooperante italiana, l’aquilana Sabrina Prioli, sul dramma che ha vissuto nel 2016, quando è stata rapita, violentata, subendo anche un tentativo di soffocamento con il Ddt in Sud Sudan, dove lavorava.

Un dramma che, dopo essersi salvata per miracolo, continua a vivere visto che, a suo avviso, non è stata sostenuta dopo il grave fatto e assistita nella battaglia legale contro i suoi aguzzini, processo nel quale ha testimoniato con coraggio, che ha portato alla condanna di 5 soldati e al risarcimento a suo favore di 4mila dollari a fonte dei 2,5 milioni per la organizzazione americana per la quale lavorava. Un caso denunciato in una interrogazione dalle deputate del Pd Stefania Pezzopane e Laura Boldrini, insieme ad altre colleghe, con la risposta definita dalle stesse insoddisfacente. La 49enne aquilana ora è in Zambia e sta per tornare all’Aquila a fine mese.

“Continuo a combattere per la riparazione a nome di tutte le donne che hanno che hanno subito un crimine del genere – spiega all’Ansa -, 4mila dollari come riparazione è un ulteriore violenza: sono sotto cura, ho ricevuto cure fisiche, psicologiche e psichiatriche, ho perso il mio lavoro, mi sono dovuta ricostruire, chi mi ridà indietro tutti gli anni? E’ come se fossi morta, non ho potuto provvedere economicamente per anni al sostentamento economico di mia figlia, non avendo potuto lavorare perché non ero in grado in quanto non ero presente con la mente quindi ho dovuto fare uno sforzo incredibile e con le mie forze, senza nessun aiuto economico ed avendo perso il lavoro, mi sono dovuta reinventare perché non ero in più in grado di fare il lavoro che facevo prima: ho avuto anche spese mediche non indifferenti quindi il risarcimento è giustissimo: una donna deve essere risarcita per gli anni di lavoro perso ma anche in relazione alle possibilità future precluse. Questi signori pensano che con 4mila dollari se la siano cavata – chiarisce -. E’ una ulteriore offesa, oltre che vergognoso, il mancato appoggio della diplomazia italiana”.

La 49enne cooperante è un fiume in piena: “La mia è una vicenda tristissima, sono veramente stanca di combattere da sola la battaglia legale per la quale sono ritornata a Juba per testimoniare credendo nella giustizia – spiega ancora – Ma purtroppo senza appoggio diplomatico, il file del processo è andato perso perché nessuno ha seguito e tutelato il mio caso, in primis le istituzioni e la diplomazia italiana che dovevano essere al mio fianco in quanto ero stata l’unica vittima a ritornare a Juba a testimoniare in Corte marziale. I soldati sono stati condannati ma la riparazione non può essere 4mila dollari per una donna che ha sofferto cinque violenze sessuali, per una donna che è stata duramente percossa, per una donna che purtroppo è stata anche torturata – continua – Non è giusto che io sia stata lasciata sola, penso che non sia giusto non avere mai avuto una risposta dal Ministero degli Affari Esteri, non avere mai avuto appoggio legale, un’assistenza medica: non penso che una violenza del genere, un crimine come la violenza sessuale, sia da considerarsi di serie neanche b, c, d o e, è un crimine che non viene considerato perché una ferita che è nascosta dentro”.

“E’ una ferita che non si vede, quindi io, per esempio, che sono una donna considerata forte proprio perché sto combattendo dal 2016 con le unghie e con i denti per la riparazione e per la giustizia: ma ciò non vuol dire che sia una donna che non sta soffrendo, continuo a soffrire per la continua rivittimizzazione, per il silenzio delle Istituzioni nei miei confronti: essere lasciata sola è una rivittimizzazione più grande perché è come non riconoscere il crimine, come se venisse sminuito il fatto che io abbia ricevuto un violenza del genere: non sono bastate cinque violenze sessuali -continua -, non sono bastate le torture, non sono bastate le percosse a smuovere la diplomazia italiana questo mi fa soffrire terribilmente”.

Prioli sottolinea ancora che “ci sono convenzioni che tutelano i miei diritti, ci sono leggi europee per la difesa dei cittadini che hanno subito violenza, che hanno subito tortura, quindi ho tutto il diritto di essere ascoltata e di essere ricevuta più che altro di ricevere una risposta dalle istituzioni in quanto sono una cittadina a cui sono stati violati i diritti, una cittadina che non si è potuta neanche appellare in un processo e a un verdetto ridicolo. Speravo la interrogazione potesse smuovere qualcosa, ora sono sfiduciata, sono convinta che sola ero e sola rimarrò”.