L’AQUILA – Si sa, senza pandoro e panettone non è Natale, ma in Abruzzo i veri dolci da servire a tavola nel periodo delle feste sono ben altri. Le sfogliatelle, per esempio, ma anche i caggionetti, i torcinelli e i bocconotti. Senza dimenticare il parrozzo, tanto buono da ispirare un sonetto del celebre poeta Gabriele D’Annunzio.
In realtà, come ogni buona pietanza abruzzese che si rispetti, anche il parrozzo affonda le sue radici nelle tradizioni contadine locali: nasce da un pane rustico, dalla forma semisferica e dal colore giallo intenso, cotto nel forno a legna e comunemente chiamato “pane rozzo”, che i pastori ricavavano dalla farina di mais.
L’idea di farne una trasposizione dolciaria, nel corso degli anni Venti, fu di Luigi D’Amico, un premiato pasticcere pescarese e amico fraterno di D’Annunzio. E fu proprio D’Amico a lasciare che il primo ad assaggiarlo fosse proprio il poeta che ne elogiò la bontà con queste parole: “È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce”.
Solo recentemente è divenuto un dolce tipico delle feste e ormai regna incontrastato sulle tavole abruzzesi imbandite per il Natale. Spesso, però, a fine pasto viene anche accompagnato anche da altri dolciumi tipici, tutti accomunati, nella preparazione, da marmellata d’uva e zucchero a velo.
Prime tra tutti le sfogliatelle, comunemente associate alla città di Napoli, ma al giorno d’oggi molto diffuse nel Teramano.
Erano i primi anni del ‘900 quando Donna Anna, la moglie del barone Tabassi, ereditò la ricetta dalla suocera cmpana, nel piccolo borgo della Maiella di Lama dei Peligni. Avendo però a disposizione ingredienti differenti rispetto a quelli utilizzati nella versione partenopea, la donna riadattò la ricetta originale utilizzando la marmellata d’uva come dolce ripieno e lo strutto tra una sfoglia e l’altra, in modo da renderla più soffice e friabile. Alla marmellata d’uva, per il ripieno, vennero aggiunte inoltre noci e mosto cotto.
La ricetta originale, quella che segnò la nascita delle attuali sfogliatelle abruzzesi, venne rivelata solamente negli anni sessanta dal cuoco della famiglia Tabassi e, ancora oggi, ogni donna abruzzese aggiunge all’ormai immancabile marmellata d’uva altri ingredienti, come il cacao, le mandorle, la vaniglia, ma anche il limone o la nutella e, per finire, una spolverata di zucchero a velo.
In molte case abruzzesi, alle sfogliatelle si aggiungono in genere anche i caggionetti, in alcune zone della regione conosciuti anche come calcionetti. Tra i dolci natalizi più amati, si tratta di ravioli fritti, di pasta sottilissima e friabile, a forma di mezzaluna e farciti con ripieni differenti, che variano da città a città in base alle risorse del territorio.
La ricetta originale teramana vuole un ripieno con castagne, miele, zucchero, cedro candito, cioccolato fondente grattugiato, mandorle tostate e macinate. Ma sono molto diffuse anche altre due varianti che utilizzano i ceci o la classica marmellata di uva, meglio ancora se “scrucchiata”.
L’impasto, infine, è composto da tre ingredienti principali, che costituiscono la base di molti dolci tipici abruzzesi: olio, farina e vino bianco.
Ultimo, ma non per importanza, tra i dolci di Natale abruzzese è il bocconotto nelle sue diverse versioni. La prima originaria di Castel Frentano (Chieti), dove sembra siano apparsi nel periodo che va dalla fine del Settecento all’inizio dell’Ottocento. La ricetta locale più antica prevedeva anche l’aggiunta di un chicco di caffè nel ripieno di cioccolato o di caffè liquidi, poi addensati con l’aggiunta di mandorle e del tuorlo d’uovo.
Nella ricetta di Montorio al Vomano (Teramo), si fa invece riferimento all’aggiunta di un poco di liquore dolce, mentre il bocconotto vastese si distingue per la sua deliziosa copertura di glassa di cioccolato fondente.
Per quanto riguarda il ripieno, infine, si utilizzano le mandorle tritate, la cannella e il cioccolato aromatizzato con il caffè, anche se in passato, quando venivano in grandi quantità per festeggiare eventi speciali, come battesimi o matrimoni, non era difficile trovarne di ripieni con la marmellata d’uva. Quello che, in ogni caso, accomuna tutte le versioni la pasta frolla a base di olio evo e l’immancabile zucchero a velo.
I torcinelli, in dialetto “turciunill”, sono infine cilindretti allungati e attorcigliati, soffici e morbidi, di antichissima tradizione. Sono tipici della provincia di Pescara e il loro ingrediente base sono le patate.
A queste, poi, vanno aggiunti uova, olio, zucchero, latte ed anice a piacere, ma in alcuni casi sono proposti anche in versione salata con delle alici all’interno.
L’impasto viene lavorato fino a farlo risultare morbido e “appiccicoso”, per poi prelevare piccole dosi che vengono allungate e attorcigliate delicatamente, per essere tuffate nell’olio bollente. Appena ppena dorati, vengono messi ad asciugare su carta assorbente, o meglio ancora, sulla tradizionale “carta pane” e, ovviamente, cosparsi di zucchero a velo.