L’AQUILA – Circa 1.500 persone alla partenza della fiaccolata che è tornata ad illuminare la notte aquilana, e ancora tante altre che si sono aggiunte durante il cammino.
Quattordici anni dopo la maledetta notte del 6 aprile 2009, L’Aquila ricorda le 309 vittime del terremoto.
Un momento di condivisione, nel dolore, a due mesi da quella tremenda notte tra 5 e il 6 febbraio 2023, quando la terra ha tremato nell’area meridionale della Turchia e nelle regioni settentrionali della Siria, causando 60.000 morti e milioni di sfollati. Perché la solidarietà non può avere confini, come pure l’imperativo categorico della prevenzione, di una edilizia che sia sicura, e non solo per i ricchi che se la possono permettere, e il diritto alla ricostruzione post sisma, garantita finora in Italia, è da vedere se sarà assicurato anche nei due Paesi mediorientali.
È questo il significato, almeno quello principale, della fiaccolata di quest’anno, con partenza alle 21.30 davanti al Tribunale, lungo via XX settembre, e fino al piazzale della Memoria, con arrivo alle 23.30. Ad accendere il braciere due donne: Cansu Sonmez, ricercatrice di nazionalità turca, dottoranda al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, e Rasha Youssef, siriana, ingegnere chimico industriale, che lavora da diversi anni in città, operando anche presso l’università. Al loro fianco anche un rappresentante dell’ambasciata turca, il primo segretario Hasan Enes Mabocoglu.
“In questo modo – ha ricordato il sindaco Pierluigi Biondi – abbiamo voluto fornire una testimonianza di affetto e vicinanza nei confronti delle popolazioni di Turchia e Siria, colpite dal sisma del 6 febbraio scorso, in ragione della sensibilità che la comunità aquilana ha maturato a seguito della calamità che l’ha colpita nel 2009 e anche delle manifestazioni di solidarietà giunte da tutto il mondo”.
Oggi pomeriggio al Parco della Memoria, è stata scoperta una stele progettata dall’Accademia delle Belle Arti e realizzata dalla ditta che ha costruito il Parco della Memoria. Stele sulla quale è stato inciso il Fiore della memoria, raffigurante il croco dello zafferano, il simbolo individuato anche quest’anno dal Comune dell’Aquila per ricordare quanti sono deceduti a seguito del tragico evento che ha segnato la storia di un intero territorio.
Dopo l’accensione del braciere la lettura dei nomi delle 309 vittime.
Sfilano dietro i gonfaloni, tra gli altri, il presidente Regione Marco Marsilio; il vice presidente Emanuele Imprudente; il vice presidente vicario del Consiglio regionale, Roberto Santangelo; il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi il presidente della provincia, Angelo Caruso, il sottosegretario, Luigi D’Eramo; i parlamentari Etel Sigismondi, Guido Liris, Fabio Roscani, Gabriella Di Girolamo; consiglieri regionali e comunali di maggioranza e opposizione, numerosi sindaci del cratere.
Penso sia un momento importante per cominciare a cambiare questa commemorazione, per far sì che il ricordo possa essere anche propositività per un futuro migliore, per far sì che le questioni di giustizia vadano verso la verità in ogni strage che colpisce il nostro Paese. E che la memoria non sia solo di un giorno ma coltivata a 365 giorni l’anno”, dice Vincenzo Vittorini, volto simbolo della battaglia per il riconoscimento dei diritti delle vittime del terremoto dell’Aquila, questa sera presente come ogni anno alla fiaccolata.
“Che significato assume 14 anni al terremoto questa cerimonia? Questa fiaccolata ha il significato di fare memoria, di ricordare, però anche di modificare qualcosa”, ribadisce Vittorini, che nella tragedia ha perso moglie e figlia.
Domani, ricorda Vittorini, ci saranno altre iniziative: “una di mattina al Parco della Memoria, quando incontreremo gli studenti e la città per confrontarci su memoria e futuro, e l’altro nel pomeriggio quando faremo un convegno con al centro i temi della giustizia e della memoria”.
E Federico Vittorini, 27 anni, figlio di Vincenzo, annuncia: “Presenteremo domani il progetto di un documentario sulle vicende giudiziarie che hanno coinvolto L’Aquila, anche prima del 6 aprile 2009, per decisioni prese prima della tragedia a cominciare dalla commissione Grandi Rischi. È necessario fare memoria. Di quello che hai perso te ne rendi conto forse ancora di più dopo 14 anni, in una notte come questa. Dobbiamo dare un senso a quello che è accaduto”.
Racconta Alessia Perrotti, tornata a vivere con la sua famiglia da 5 mesi un città, in via Fortebraccio: “C’è sempre un prima e un dopo, abbiamo abitato tanti anni fuori, dopo il sisma. Ricordo che ci siamo svegliati nel cuore della notte, danni, crepe che si aprivano, le urla ‘uscita, uscite’. Ora siamo tornati, ci siamo riambientando. È una città molto diversa da prima, nelle relazioni, spazi e luoghi. Ma è sempre la mia città”.
Aurora Morsani, 23enne di Rieti, studia Psicologia all’Aquila: “quando è accaduto ero piccola ma lo ricordo. Questo credo sia un importante momento di raccoglimento e vicinanza. Soprattutto per quelle persone che hanno avuto perdite, tra familiari, amici e parenti. Anche se io non c’ero mi sento in dovere di portare una fiaccola, in segno di rispetto e vicinanza, per la città che mi ospita. Nella consapevolezza che questa città deve ripartire dai giovani”.
Racconta Diletta De Santis, 27 anni, artista e attrice teatrale: “Per la mia generazione tornare a 14 anni fa significa un po’ trovarsi secondo me con le gambe spezzate, ti ritrovi bloccata perché c’è stato qualcosa che ti ha tolto tutto e questa sensazione di paralisi te la porti dietro dietro sempre. C’è un rapporto con il tempo particolare perché magari il tempo è lineare e tende sempre a guardare avanti però qui a L’Aquila chi ci ha vissuto prima del terremoto è come se volesse che il tempo potesse essere circolare e tornare alla città che era, con la consapevolezza che non potrà mai essere così. Noi che siamo veramente cresciuti con una città distrutta, tra le macerie del centro, vedere ora questa virata totale verso una città gentrificata, lussuosa, sempre per meno persone, una sorta di vetrina, è spiazzante. Paradossalmente avevamo più spazio, più libertà prima, quando c’erano ancora le macerie, quando potevamo sognare una città ideale”.