L’AQUILA – La primavera è arrivata, dopo un inverno che non è stato tale, con temperature ben al di sopra della media, e pochissima neve, e a subire ingentissimi danni è stata una delle punte di diamante del turismo abruzzese, quella degli sport invernali, c0n gli impianti aperti per poche settimane e perdite che hanno abbondantemente superato il 50% rispetto agli anni precedenti.
Gli operatori anche in Abruzzo già si sono mobilitati per chiedere ristori e sostegno dalle Regioni e dallo Stato, in primis per salvaguardare i livelli occupazionali, altrimenti a forte rischio di ridimensionamento, e per avere la liquidità necessaria a pianificare la prossima stagione.
Ma a differenza dei terribili anni della pandemia del covid e dei lockdown dove il settore, costretto a chiudere, ha ricevuto poi sostegni economici, l’emergenza legata al clima sfavorevole dovrebbe essere oramai considerata come strutturale. Ed è quello che ad esempio si sostiene, dati alla mano, nell’ultimo rapporto Nevediversa di Legambiente, secondo il quale con la crisi climatica e l’aumento delle temperature la montagna sta cambiando volto, con sempre meno neve e temperature più alte, e con gli impianti sciistici sempre più in difficoltà, tanto che aumentano quelli temporaneamente chiusi e aperti a singhiozzo.
Ed è quello che purtroppo sta accadendo anche in Abruzzo, in queste settimane: pochi giorni fa a Roccaraso hanno chiuso gli impianti del Macchione, Aremogna, Pallottieri, Campo scuola, Valleverde 1, Valleverde 2 e Aremogna Crete rosse. Chiuso anche l’impianto di Monte Pratello di Rivisondoli. Stagione da dimenticare anche Ovindoli dove si calcola un calo di volume di affari del 70%, come pure a Passolanciano, dove gli impianti per mancanza di neve, sono chiusi dal 25 gennaio, e si è sciato solo una manciata di giorni.
Restano fortunatamente aperti gli impianti di Campo imperatore, che gode della maggiore altitudine, anche se non ci sono impianti di innevamento artificiale, e la domenica scorsa le piste sono state prese d’assalto da oltre 2.500 persone. Aperti anche gli impianti di Campo Felice, dove la neve c’è, ma le temperature si stanno alzando e c’è il rischio che a Pasqua non si potrà sciare. In ogni caso sia a Campo Imperatore che a Campo felice la stagione è stata negativa, come più o meno ovunque in Italia.
Tornando al report di Legambiente, si conferma che i cinque anni più caldi in oltre due secoli sono tutti concentrati dal 2014 in poi, e i dieci più caldi dal 2003 in poi, a testimonianza della drammatica accelerazione del riscaldamento atmosferico.
E c’è anche un incremento della temperatura media importante nei comuni montani italiani situati nei compressori sciistici o nelle loro prossimità, sulla base dei dati di OBC Transeuropa per European Data Journalism Network (EDJNet), che hanno confrontato i valori medi di temperatura degli anni Sessanta con quelli del periodo 2009-2018.
Per quanto riguarda l’Abruzzo della neve, nell’Alto Sangro la temperatura è aumentata di 2,1°, a Ovindoli di 1,9°, a Fonte Cerreto, stazione di partenza della funivia per gli impianti di campo imperatore, 3,0°, a Rivisondoli 2,1° a Prati di Tivo 2°.
Aumentano così in Italia gli impianti temporaneamente chiusi, 77, con una crescita di 39 unità rispetto al 2022, come pure gli impianti aperti a “singhiozzo”, saliti da 84 a 93. Gli impinati dismessi sono 260 a fronte dei 249 del 2022.
“Il bollettino di guerra – si legge ancora nel rapporto – prosegue con i primati raggiunti dallo zero termico, sempre più in alto anche in pieno inverno, con frequenti piogge in quota al posto
delle nevicate. Lo studio, pubblicato nel 2023 sulla rivista ‘Nature Climate Change’, ha rivelato che il manto nevoso sulle Alpi non è mai stato effimero come oggi in almeno seicento anni e che nell’ultimo secolo la sua durata si è accorciata in media di un mese a causa di un riscaldamento
atmosferico di circa 2 °C. A febbraio, prima della nevicata di inizio marzo, la Fondazione Cima segnalava che il deficit di ‘snow water equivalent’ nazionale, ovvero la massa equivalente in acqua del manto nevoso accumulato al suolo, diminuita del 64%: i dati peggiori si sono registrati per
gli Appennini, ma la situazione di scarsità di neve ha caratterizzato tutta la penisola e, sulle Alpi
(fondamentali anche per l’approvvigionamento idrico del bacino del Po), il deficit era del -63%,
paragonabile a quello dello scorso anno”.
Infine nel rapporto, alla luce di questo scenario, si punta il dito contro “i 148 milioni di euro destinati l’anno scorso dal Ministero del Turismo all’ammodernamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale a fronte dei soli 4 per la promozione dell’ecoturismo”, come pure sui fondi che “da almeno vent’anni regioni e enti locali sono abituati a stanziare alle società proprietarie degli impianti di risalita”.
C’è infine il tema quanto mai scottante sull’innevamento artificiale, con i bacini di innevamento sono in crescita netta, 158 bacini, più 16 dal 2023.
Questa l’opinione di Legambiente: ” La prima considerazione è nel costo delle risorse. Dover creare la neve, illuminare le piste di notte, far funzionare gli impianti di risalita per orari più lunghi con riadattamenti di alcune piste per aperture straordinarie, ecc. aumenta le spese, limitando la redditività. Un clima sempre più caldo significa una ridotta efficienza dell’innevamento, quindi maggiori consumi e più generatori. È evidente che più cannoni sparaneve richiedono più tubi dell’acqua, compressori e altri dispositivi tecnici necessari al loro funzionamento. Grazie alle innovazioni tecnologiche gli sprechi si riducono, ma l’artificializzazione del territorio rimane e pistole/lance a ventola e apparecchiature di supporto funzionano ancora con l’elettricità. Quella della neve artificiale è una macchina elefantiaca che invece di risolvere un problema, lo ingigantisce e non ha granché senso che i comprensori sciistici cerchino di rendersi indipendenti dalla natura. Anche gli utilizzatori dello sci dovrebbero capacitarsene”.