POPOLI – “Avevo visto girare sui social, immortalata la scritta sul muro a vernice, ‘Scappa con me a Cagnano Amiterno’. Sono andata a cercarla, e l’ho fotografata con la mia polaroid, perché in quella scritta c’è l’amore e la libertà di chi non si prende troppo sul serio. E’ uno scorcio dell’Abruzzo che amo. Una fuga, un ritorno, un restare. L’ho fotografata con una polaroid, per la quale contano più gli scatti che non fai, come per la poesia contano più i silenzi. Entrambe hanno a che fare con l’attesa”.
L’inaspettata declinazione del significato, già usurato sul nascere, di turismo emozionale, la offre Paolo Fiorucci, meglio conosciuto come il “libraio di notte”, in virtù della sua libreria di Popoli, in provincia di Pescara, che dal 2018 apre le porte solo sul far della sera, eccezione fatta nei mesi mesi invernali, diventando un caso nazionale, e luogo di ritrovo locale. L’occasione è stata offerta dalla presentazione della sua seconda raccolta di poesie, “Quando piove canto più forte”, edita da Neo. edizioni, in un domenica di febbraio nella ex scuola di Fontecchio, in provincia dell’Aquila, che si appresta a diventare uno spazio di arte e composite attività sociali e di promiscuità culturale.
Fiorucci, 38enne originario di Chieti, ed ex portiere d’albergo, vive poco lontano, nel minuscolo San Benedetto in Perillis, dove organizza dal 2020 il festival “Libri nell’entroterra”, che ha visto quest’anno la partecipazione dei premi Campiello, Remo Rapino e Donatella Di Pietrantonio.
“Quando piove canto più forte”, edito da Neo. edizioni, è fatto di versi, spesso in forma di folgoranti haiku, e di foto, di parole e polaroid. Poesie d’amore, o forse no, senz’altro non adatte ad andare a finire in un cartoccio dei baci Perugina o in un meme social, perché avverte lo stesso autore, “dovremmo forse allontanarci dal luogo comune dell’amore identificato solo con quello che ci lega ad una persona. Per i greci esistevano dodici forme d’amore. Anche un gesto di attenzione per le piccole cose, ha a che fare con l’amore. In questo periodo della vita avevo semplicemente bisogno dei versi, di parole semplici, quelle che si usano al bar e dal barbiere, per essere onesto con me stesso. Ho abbracciato da qualche anno uno stile di vita frugale, e la poesia è la modalità di esprimersi che meglio si addice con la frugalità.”.
“Poeticamente abita l’uomo”, scriveva il grande filosofo tedesco Martin Heidegger, che poi rimase del tutto indifferente all’orrore nazista, al dolore e ai massacri, troppo preso a trovare le parole giuste per esprimere il miracolo dell’essere.
A modo suo, anche l’andare a vivere sulle impervie montagne d’Abruzzo per Paolo Fiorucci è stata una scelta motivata da un abitare per così dire “poetico”, seppure questa tipologia di locazione non sia contemplata dalle agenzie immobiliari.
Alla domanda di un cronista locale, durante il fitto dibattito, “Ma se dovessi convincere una persona a scappare con me a San Benedetto in Perillis, e non a Cagnano Amiterno, cosa gli potrei dire per convincerla?”, quasi scientifica la risposta del poeta: “c’è un silenzio che tende verso l’alto, è diverso da quello della città, puoi prestare davvero attenzione al ritmo delle stagioni, senti suoni e non rumori”.
Una delle poesie offre un gradito autostop lungo la statale 17, che attraversa l’altopiano dei Navelli, “dove le stelle sono più stelle che altrove, e viene da alzare la testa a guardare più in alto di questi pensieri”. Lungo la stessa strada che per altri, dallo sguardo calamitato a terra, è solo una infrastruttura strategica di cui urge raddrizzare le curve e raddoppiare le carreggiate, per risparmiare minuti, preziosissimi dipende da cosa.
Vivere in un paese, prosegue Paolo Fiorucci, è dove “vorrei ricominciare, dalle case a colori di un vicolo stretto e di appennino dove tutti conoscono tutti, e restano stranieri”. Dove incontri personaggi al bar per i quali “il gioco è esistere imparando il mestiere di sparire, nell’osservanza dell’osservare dietro un bicchiere, come in un acquario, cosa succede sotto il mare”. Paesi che da lontano sembrano un mazzetto di fiammiferi accesi.
A proposito di mare, l’autore rivela che il titolo della raccolta, “è lo stesso di un romanzo che non ho mai finito di leggere, un romanzo di mare, con un bel titolo. E per me che ho fatto il portiere d’albergo ha avuto importanza anche il grande poeta Izet Sarajlic, autore di ‘Chi ha fatto il turno di notte’, per il quale i poeti hanno il compito di impedire l’arresto del cuore del mondo”.
E sono forse autobiografici i versi in cui in poeta è definito come “un cartello limite acque sicure, solo, nel posto sbagliato”, che vive, “con un mare dentro e un mare intorno”.
Montagne e costa d’Abruzzo, oramai è acclarato, distano una ora sola di automobile, come amano ripetere gli assessori al turismo, quando poi però tra la costa e la montagna non è che ci sia tutta questa corrispondenza di amorosi sensi, tra campanilismi di origini pre-romaniche e ostilità tra latifondisti del consenso.
Si poteva cogliere l’occasione per chiedere a Paolo Fiorucci, “a cosa serve la poesia?”, magari per poi pescare a caso nel repertorio delle risposte ad effetto e delle citazioni definitive.
Degno di nota è che Paolo Fiorucci, emigrato dalla costa all’entroterra, ha più volte insistito sulla parola attenzione e, premettendo che ha da poco superato l’incertezza dell’andare da solo in spiaggia, ha recitato una ultima poesia dedicata “ad un’anziana sola al mare, che fa il bagno a due onde da me con in testa un cappello da baseball rosa fluo”, forse badante nel giorno di riposo, forse in pensione, chiedendosi infine “chissà come saremo noi quando esprimeremo il desiderio da vecchi di restare ancora un po’ su uno scoglio caldo di agosto, senza persone intorno, se qualcuno scriverà di noi senza dircelo mai”.