L’AQUILA – “Ho scelto di venire qui a studiare per ragioni economiche, fare l’università a L’Aquila è decisamente più economico rispetto a Roma o a Napoli. E ho fatto la scelta giusta: è stata una scoperta, di una citta piena di cantieri e palazzi lesionati, di un centro storico riconquistato pian piano, rispetto al 2015, quando arrivai. Una città in trasformazione e in metamorfosi. Sono cose che restano nel cuore e resterò a vivere qui”.
Spente le luci della fiaccolata, ripartite le troupe e inviati delle televisioni nazionali, archiviato il quattordicesimo anniversario del sisma del 2009, L’Aquila, ha ripreso la sua vita normale, per quello che ciò voglia significare, nonostante tutto.
E sono preziose le testimonianze come quelle di Matteo Paoletti, di Cassino, 26 anni, fresco di laurea in medicina, e anche di altri studenti, Martina Fusari, 24 anni, della vicina Tornimparte, Filippo Quadrini, 21 anni di Arpino, in provincia di Frosinone, Danila Paolini, 21 anni di Controguerra, in provincia di Teramo, incontrati da questa testata, mentre protestavano davanti al palazzo dell’Emiciclo, sede del Consiglio regionale, contro i ritardi nell’erogazione delle borse di studio, nel corso di una manifestazione organizzata dall’Udu.
Loro il terremoto del 6 aprile 2009 non lo hanno vissuto, perché arrivati dopo, da studenti fuorisede, o lo hanno vissuto quando erano poco più che bambini. Ma sono loro, anche loro, il presente e il futuro di questa città, in trasformazione e in metamorfosi. Quel che è certo è che L’Aquila era, è e non potrà che essere anche in futuro una città universitaria. Ed è per questo che più che le gloriose mura urbiche, per cui si stanno spendendo milioni di euro per il restauro, come se fosse imminente un nuovo assedio di Braccio da Montone e le sue soldataglie, ciò che davvero conta è la capacità di accogliere, di spalancare le porte, di farsi contaminare da saperi altri, abbattere i muri, sprovincializzarsi, pensarsi – sognare nulla costa -, come una città cosmopolita.
Prosegue Matteo, “certo, i problemi, anche qui ci sono, il primo è la scarsa attenzione che ho riscontrato negli anni, in termini di servizi offerti agli studenti. Solo dopo una lunga battaglia sono state introdotte un paio di corse serali per il centro storico. Molti di noi vivono in periferia, e senza automobile è dura”.
Diverso, inevitabilmente, il punto di vista di Martina: “ero piccola quando c’è stato il terremoto, avevo appena 9 anni. Il ricordo più vivo che ho è la vita nella tendopoli, i tanti giochi con gli altri bambini, e un senso di libertà. Non ho vissuto il disagio e il dolore di tante altre persone”.
Martina fa una una pausa, raccoglie i ricordi, e prosegue: “certo, poi da adolescente ha pesato molto vivere in una città con il centro storico in buona parte chiuso e vuoto. Il mio punto di ritrovo con gli amici è stato per anni il centro commerciale”.
Filippo frequenta la facoltà biotecnologie e anche lui ha scelto L’Aquila per fattori economici.
“Roma che è la città universitaria più vicina alla mio luogo di residenza, ha prezzi oramai inaccessibili, non solo per gli affitti alle stelle. Io comunque vivo alla residenza universitaria Campomizzi”, spiega.
Rivela poi che il fatto che il territorio aquilano sia altamente sismico, non è stato per lui e la sua famiglia un deterrente.
“Buona parte dell’Italia è a rischio, ma qui il terremoto c’è già stato, e le abitazioni le hanno ricostruite sicure e consolidate a dovere, più che altrove. La lezione è stata appresa, non ho motivo di dubitarne”.
Danila, studentessa di medicina, arriva invece da Controguerra: “ho scelto L’Aquila per la relativa vicinanza da casa, e per la qualità dell’università. Non ho ovviamente vissuto il terremoto, ma i miei amici più grandi mi dicono che la città è cambiata, e non in meglio, rimpiangono quella che c’era prima, anche l’università aveva molti più iscritti, la comunità studentesca era più viva. La ferita è rimasta, non si è mai rimarginata”.
Il discorso cade poi sulla famigerata movida, che accende il dibattito e lo scontro tra residenti del centro storico e gestori dei locali, con dietro due idee diverse di città.
Sostiene Matteo, “ci sono ragioni da entrambe le parti, è normale che ci sia la movida in una città universitaria, ma non bisogna esagerare, ma del resto quello che offre il centro storico è sostanzialmente l’alcool, le bevute nei locali, e da questo punto di vista non è così diversa dalla mia Cassino…”
Aggiunge Danila: “non faccio molta vita mondana, preferisco stare a casa con gli amici anche perché qui fa freddo, ma non ci sono molte attrazioni vere, solo locali che offrono alcolici e null’altro, poi per me è difficile arrivare in centro, anche se ci sono le corse serali”.
Infine Filippo: “L’Aquila è una città universitaria, e gli studenti devono essere accolti nel migliore dei modi e hanno il diritto di divertirsi. Per quanto riguarda l’offerta culturale, è la stessa comunità universitaria che in modo informale la crea e a me basta e avanza”.
Molti degli studenti fuorisede terminata l’università, andranno via. Ma Non tutti.
“Terminati gli studi resterò a L’Aquila. Oramai ho sviluppato un amore, un legame profondo per questa città ferita -, spiega Martina -. Ma sogno una città che diventi più viva, con più luoghi di aggregazione. Non mi piace il centro storico che sta diventando una vetrina, una sorta di centro commerciale. Una città non può essere solo un luogo dove fare shopping, con una bella scenografia per le passeggiate serali e domenicali, dove consumare aperitivi e cene”.
Assicura Matteo: “Resterò qui, per frequentare un corso di specializzazione per anestesista. Qui ho trovato anche l’amore, e mi sento a casa”. Filippo Tronca