L’AQUILA – La “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali” entra nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità tutelato dall’Unesco. Lo ha annunciato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel corso dell’Assemblea nazionale della principale organizzazione agricola europea nel comunicare la decisione adottata dalla sedicesima sessione del Comitato intergovernativo Unesco riunito a Parigi. Un risultato che è stato festeggiato con un maxi vassoio di tagliolini al tartufo per le centinaia di agricoltori insieme ai leader politici dei principali partiti e movimenti presenti in Assemblea.
L’ingresso del tartufo tra i patrimoni dell’umanità è una buona notizia anche per l’Abruzzo, che rientra tra le regioni più conosciute per la produzione di questo tubero pregiato, settore di nicchia che coinvolge comunque oltre 7mila cavatori per oltre 200 quintali di tartufo annui (stime sicuramente al ribasso, soprattutto considerando che negli ultimi anni sono nati numerosi impianti tartufigeni causa delle ottime prospettive di mercato su un territorio) su un territorio con caratteristiche idonee sia al tartufo bianco sia al nero pregiato (invernale, con quotazioni stimate da Coldiretti Abruzzo di oltre 600 euro al chilogrammo, la cui raccolta è iniziata negli ultimi giorni), senza dimenticare il nero “uncinato” (autunnale, intorno ai 400 euro al chilogrammo), il “bianchetto” (più piccolo del bianco pregiato, con quotazioni dai 300 ai 400 euro al kg) e il tartufo estivo (raccolto da maggio a settembre, quest’anno con quotazioni dagli 80 ai 100 euro/kg). “L’ingresso nell’elenco Unesco – dice Coldiretti Abruzzo – è una notizia importante, che riporta l’attenzione su una attività determinante per molte aree rurali montane e svantaggiate e che avrà ricadute positive anche per la nostra regione, in cui è presente una tradizione forte di coltivazione e raccolta”.
A livello nazionale, l’arte della ricerca del tartufo – sottolinea Coldiretti – coinvolge in Italia una rete nazionale composta da circa 73.600 detentori e praticanti, chiamati tartufai, riuniti in 45 gruppi associati nella Federazione Nazionale Associazioni Tartufai Italiani (FNATI), da singoli tartufai non riuniti in associazioni per un totale di circa 44.600 unità e da altre 12 Associazioni di tartufai che insieme all’Associazione Nazionale Città del Tartufo (ANCT) coinvolgono circa 20.000 liberi cercatori e cavatori. Una vasta comunità, distribuita nei diversi territori regionali italiani, che – evidenzia Coldiretti – coinvolge in prima battura la coppia cavatore-cane in un rapporto armonico tra il cavatore e la natura che è alla base della trasmissione di conoscenze e tecniche legate alla cerca e cavatura individuate come una pratica sostenibile. Mentre in ambito famigliare è ancora il singolo tartufaio più anziano, nonno o padre, che insegna alle nuove generazioni i segreti, gli accorgimenti, i luoghi e le tecniche della cerca e della cavatura.
La ricerca dei tartufi praticata già dai Sumeri – riferisce la Coldiretti – svolge una funzione economica a sostegno delle aree interne boschive dove rappresenta una importante integrazione di reddito per le comunità locali, con effetti positivi sugli afflussi turistici come dimostrano le numerose occasioni di festeggiamento organizzate in suo onore. Il tartufo – riferisce la Coldiretti – è un fungo che vive sotto terra ed è costituito in alta percentuale da acqua e da sali minerali assorbiti dal terreno tramite le radici dell’albero con cui vive in simbiosi.
Nascendo e sviluppandosi vicino alle radici di alberi come il pino, il leccio, la sughera e la quercia – spiega la Coldiretti – il tartufo, deve le sue caratteristiche (colorazione, sapore e profumo) proprio dal tipo di albero presso il quale si è sviluppato. La forma, invece dipende dal tipo di terreno: se soffice il tartufo si presenterà più liscio, se compatto, diventerà nodoso e bitorzoluto per la difficoltà di farsi spazio. I tartufi sono noti per il loro forte potere afrodisiaco e in cucina il bianco (Tuber Magnatum Pico) – conclude la Coldiretti – va rigorosamente gustato a crudo su noti cibi come la fonduta, i tajarin al burro e i risotti e per quanto riguarda i vini va abbinato con i grandi rossi Made in Italy.