CASTELLI: VIAGGIO ARTISTICO NELLA TERRA DELLA CERAMICA

Settembre 14, 2021 9:10

“Per me decorare ogni giorno e da decenni la ceramica è come respirare, è un gesto oramai normale, spontaneo; ma nessun fiore, nessun uccellino, se l’osservate attentamente, è identico ad un altro. Ed è giusto così, siamo esseri umani, non macchine”.

Nelle parole della signora Pia, nell’ipnotico talento delle sue mani e del suo occhio, che tracciano motivi floreali di stile ottocentesco su un servizio di piatti, tutta la magia dell’antichissima arte della maiolica di Castelli, in provincia di Teramo. Piccola, grande capitale mondiale di un’arte secolare, che qui ha come materie prime l’argilla, donata dall’imponente catena del Gran Sasso.
E poi il fuoco che arde nei forni, alimentato dal legname delle foreste che si estendono a perdita d’occhio; l’acqua cristallina di fiumi e torrenti che sgorgano da sorgenti a monte. Infine, ultimo e decisivo ingrediente, un’arte secolare che secondo le ricostruzioni più accreditate fu introdotta circa dieci secoli fa dai monaci benedettini, per quel che riguarda la produzione di stoviglie ed utensili di uso quotidiano.

Borgo dalle incerte origini, fu nel ‘400 legato al glorioso Ducato di Atri, come dimostrato anche da un affresco di Andrea De Litio nella chiesa parrocchiale di San Rocco.
Tra i maestri della ceramica castellana, basti citare Antonio Lollo, a cui si deve un pregevole Giudizio di Paride in manganese, con ritocchi di giallo; Carlo Antonio Grue e i suoi  temi mitologici materializzati con uno stile unico,  trasmesso ai suoi figli, in particolare Aurelio Anselmo Grue; la dinastia dei gentili, che ha lasciato ai posteri capolavori come i cicli di ceramiche ispirati alle Metamorfosi di Ovidio.
Un patrimonio unico del saper fare, di cui è oggi possibile godere nelle tante botteghe del paese ancora in piena e febbrile attività: quella, ad esempio, del signor Antonio Censasorte, dove lavora con ritmo lento e implacabile la signora Pia e quella del giovane Antonio Simonetti, ceramista da generazioni.

“Partiamo dall’argilla cruda – spiega Simonetti – , che poi, dopo essere stata plasmata, viene cotta ad una temperatura di 980° per diventare rosso ‘biscotto’. A questo punto viene immersa nello smalto, ovvero in un composto di silice, stagno e acqua”.
Nella sua bottega entrano in azione fenomenali pittrici, che decorano le maioliche con una perfezione e una personalità non imitabili, utilizzando colori in ossido metallico, che con la seconda cottura diventeranno impermeabili e tutt’uno con l’oggetto.
Rigorosamente cinque i colori della tavolozza tradizionale castellana, spiega Simonetti, “il blu, l’arancio, il verde ramina, il giallo e il manganese. A partire dall’800 si è aggiunto il rosso a dare vivacità alle composizioni floreali”.

Ogni bottega, però, non si limita a ritrarre i canoni del vasellame e contenitori delle farmacie medioevali o gli idilliaci paesaggi del ‘700: sempre nuove contaminazioni hanno avuto come fucina le botteghe di Castelli, nei colori, nelle forme e nei soggetti, ciò rende la tradizione viva e capace di sorprendere ancora.
A dare impulso all’arte ceramica castellana, la fondazione nel 1906 del liceo artistico Grue, che si è trasformato nel 1961 in Istituto statale d’arte per la ceramica e nel 2009 in Liceo artistico per il design. Nel corso dei suoi oltre cento anni di attività, adeguandosi alle mutate esigenze tecnologiche e alle mutevoli tendenze artistiche, ha rinnovato la propria proposta formativa ampliandola e diversificandola; ma soprattutto ancorandola al territorio di cui ha saputo rilevare i bisogni, interpretare le aspirazioni, stimolare le scelte artistiche.

Per averne contezza, basta visitare la Raccolta Internazionale d’Arte Ceramica Contemporanea, adiacente al Grue, che offre una panoramica sull’arte ceramica contemporanea con oltre 500 opere di 350 artisti provenienti da 50 nazioni diverse; artisti tra i quali gli italiani Brindisi e Biondi o l’americano Wiliam, lo spagnolo Castaldo e il tedesco Kim Tai.
Per non parlare del Presepe monumentale, opera dello stesso Istituto che nel decennio 1965-1975 organizzò la sua attività didattica attorno al tema natalizio e produsse le 54 statue offerte oggi alla suggestione del visitatore, esposte nel natale 2020 in piazza San Pietro a Roma.

E poi si può visitare, a ritroso, il museo nell’antico convento francescano fuori dal borgo, per apprezzare la continuità nella bellezza della secolare arte della ceramica castellana; nel chiostro conventuale 24 tondi in maiolica, nelle sale interne, capolavori come la Madonna col Bambino di Orazio Pompei e la seconda collezione donata dal Maestro Giorgio Saturni utensili oppure soprammobili della bottega Grue e di quella dei Gentili.

Per chiudere il cerchio di una storia secolare, non si può però non fare visita infine alla piccola chiesetta di San Donato, appena fuori dal paese. Lo scrittore Carlo Levi la definì la Cappella Sistina della Maiolica.
È facile perdersi nella contemplazione di simboli araldici, animali apotropaici, scritte religiose e modi di dire, decorazioni floreali, realizzate a inizio del ‘600 su mille mattonelle dai ceramisti della famiglia Pompei e dagli altri artigiani del paese; un lavoro corale, a beneficio dei posteri. Un cielo archetipo, come quello immaginato dal filosofo Platone, dove ci sono già in potenza tutte le evoluzioni a venire dell’arte ceramica castellana.