NAVELLI, UN OCCHIO SU UNO DEI BORGHI PIU’ BELLI D’ITALIA

Settembre 14, 2021 8:49

Navelli, il paese dello zafferano, l’oro rosso d’Abruzzo. Un borgo di poco più di 500 abitanti situato a una trentina di chilometri dall’Aquila, all’estremità delle propaggini sud-orientali del massiccio del Gran Sasso d’Italia. Di origine medievale, in passato è stato un centro agricolo e pastorale, uno dei luoghi simbolo della transumanza, oggi inserito nel circuito dei borghi più belli d’Italia grazie alle peculiarità storiche e architettoniche presenti al suo interno, frutto di un meticoloso lavoro di ricostruzione post sisma.

Le prime testimonianze nel territorio si fanno risalire ai Vestini, che si stanziarono nell’altopiano sin dal VI secolo a.C, ma fu in età medievale che nacque il luogo che conosciamo oggi: il classico borgo a impianto medievale, circondato da case-mura e reso accessibile solo tramite alcuni varchi aperti verso l’esterno. È proprio da uno di questi varchi, Porta Santa Maria, che inizia il nostro viaggio; ad accompagnarci, il primo cittadino del comune di Navelli, Paolo Federico.

In particolare, l’ingresso di porta Santa Maria guarda verso ovest, quindi verso L’Aquila; spiega lo stesso Paolo Federico, “si trovava nella zona i cui, secondo la leggenda, viveva Jacopo di Notar Nanni”, il facoltoso mercante e cultore d’arte, originario del vicino borgo di Civitaretenga, che fece costruire a sue spese il Mausoleo dove riposa San Bernardino da Siena, nell’omonima basilica situata nel capoluogo. Porta Santa Maria conduce alla gradinata d’ingresso della parrocchia di San Sebastiano, uno degli edifici ecclesiastici più importanti del borgo, realizzata nel 1631 in stile tardo-barocco con sfumature neoclassiche; negli ultimi mesi alla ribalta delle cronache locali per la presenza, al suo interno, di un crocifisso ligneo, anch’esso seicentesco, raffigurante la Passione di Cristo. Un’opera unica nel suo genere, andata persa nei secoli e recuperata dai detriti di un sottotetto della chiesa durante le operazioni di catalogazione post sisma, eseguite nel 2016 sotto il coordinamento della Soprintendenza Unica per la città dell’Aquila e i Comuni del Cratere.

La chiesa di San Sebastiano era l’antica cappella del palazzo baronale o castello, trasformato ampiamente nel XVII secolo nell’attuale palazzo Santucci. Uno dei simboli architettonici del borgo, il cui nucleo originario risale al VIII-X secolo, quando a seguito del fenomeno dell’incastellamento la popolazione si riunì attorno alla struttura, sul colle su cui oggi si sviluppa il centro storico. Il sindaco Paolo Federico racconta che l’edifico che noi conosciamo “risale al 1600”, visto che nel corso dei secoli “fu raso al suolo più volte, anche da Braccio da Montone”, quando nel corso nella Guerra dell’Aquila volle vendicarsi della fedeltà dei signori agli Angioini. L’ultima volta è stato ricostruito nel 1632, quando ha acquisito la funzione di palazzo baronale e cioè di residenza dei vari feudatari di Navelli, i quali si susseguirono fino alla fine del 1700.

Uscendo dalla parrocchia di San Sebastiano e proseguendo per lungo la chiesa ci si dirige verso via San Pasquale, nominata così “per la presenza dell’omonima cappella ricompresa nell’edifico di palazzo Cappa, la famosa loggia che si affaccia a mo’ di balcone sul centro storico e sull’altopiano. Al momento, aggiunge il sindaco, “la struttura è inagibile, ma sarà ricostruita a partire dai prossimi mesi”.

Proseguendo per pochi passi, ci si imbatte inoltre nel Palazzo Piccioli, noto anche come ‘il quartiere’. In particolare, Palazzo Piccioli ospita la cappella di San Gennarino, appena ristrutturata e qualche centinaia di metri da largo Murarotte, uno spiazzo caratteristico e dall’aspetto rurale da cui si riesce a scorgere l’altopiano sottostante in tutta la sua bellezza, circondato dal verde delle montagne e con la Majella innevata sullo sfondo.

Sempre in zona, si trova Palazzo De Roccis, risalente al ‘700 ed arricchito da pavimenti a mosaico alla veneziana. Il palazzo è oggi di proprietà comunale e, precisa il sindaco Federico, utilizzato principalmente “come sede di manifestazioni ed eventi di stampo culturale”.

A questo punto, tramite Porta San Pelino, si esce dal borgo medievale e ci si ritrova nella zona situata più a sud, dove nell’ottocento si è sviluppata l’area più moderna del centro abitato, quella ottocentesca, caratterizzata da altri luoghi d’interesse. Primo tra tutti, piazza San Pelino (1900), la piazza principale del paese, come anche la fontana che si trova al suo interno.

A qualche chilometro dal centro di Navelli si trova inoltre la frazione Civitaretenga, abitata da più o meno 200 persone e da cui si riesce a godere di un panorama mozzafiato, proprio su quei campi di zafferanno che nei secoli hanno reso il piccolo comune aquilano famoso in tutto il mondo.

E proprio a Civitaretenga si trova l’ex convento di Sant’Antonio da Padova, dove oggi ha sede il laboratorio di confezionamento dell’oro rosso abruzzese prodotto da un’ottantina di coltivatori provenienti da 13 comuni sparsi nel territorio. Un luogo dalla bellezza d’altri tempi, incastonato nella natura che solo la regione più verde d’Europa è in grado di offrire e che si inserisce appieno nel paesaggio rurale tipico delle aree interne. Il chiostro presenta i resti di una serie di affreschi che in passato ripercorrevano tutta la vita del santo, ancora oggi venerato nella chiesetta situata al suo interno dagli stessi abitanti di Civitaretenga; non a caso, il 13 giugno di ogni anno sono soliti portare la statua in processione per le vie del paese.

Interessante all’interno del borgo è anche la presenza di un quartiere ebraico, secondo il presidente Consorzio per la tutela dello zafferano dell’Aquila Dop, Massimiliano D’Innocenzo, “si trova si trova nella parte più antica del paese. Tra 1200 e 1500 la zona è stata abitata da una comunità ebraica cacciata dal regno di Napoli con l’accusa di usura”.
La leggenda vuole che, non a caso, proprio in quella zona sia nato uno dei primi banchi dei pegni associati al commercio dello zafferano e alla presenza di Jacopo di Notar Nanni, originario appunto del borgo di Civitaretenga.

Quanto alla zafferano, alla cui coltivazione si legano indissolubilmente la cultura e le tradizioni della comunità locale, si racconta sia arrivato in zona attorno al 1200, “quando un monaco della famiglia Santucci – spiega D’Innocenzo – portò per la prima volta dei bulbi dalla Spagna, pensando che il suo paese natio potesse essere l’habitat ideale per ospitare il crocus sativus”.

A quel punto divenne parte integrante dell’economia del territorio e delle sue tradizioni culinarie.
Nel corso di tutto il medioevo il suo commercio crebbe esponenzialmente, arricchendo intere famiglie di mercanti almeno fino al secondo dopoguerra, quando subì una battuta d’arresto a causa dei costi troppo alti. Grazie all’opera di Silvio Salvatore Sarra, nel 1971 fu però fondata la Cooperativa Altopiano di Navelli, che iniziò a commercializzarlo in maniera autonoma. “Nel 1989, venne dichiarato il suo primato nel mondo – prosegue D’Innocenzo – mentre nel 2005 l’Unione Europea gli ha riconosciuto il marchio Dop, denominazione di origine protetta”.A

A salvaguardare questo e la conseguente promozione sul territorio, lo stesso Consorzio per la tutela dello zafferano dell’Aquila Dop, che svolge così una fondamentale azione di traino per i consumi nazionali e internazionali; i produttori vengono certificati su apposite pratiche burocratiche e sottoponendo i raccolti a continue analisi, proprio ai fini della messa in commercio di un prodotto che sia “al cento per cento di altissima qualità”.