L’AQUILA – “Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo. Noi li abbattiamo e li trasformiamo in carta per potervi registrare, invece, la nostra vuotaggine”.
Cosi scriveva, anche lui su un foglio di carta, il grande poeta Khalil Gibran. E agli alberi è dedicata, da anni, l’inesauribile passione e curiosità di un aquilano, Fabio Esquilino, 45enne impiegato dell’Agenzia delle entrate, sedimentate in due libri che hanno avuto ottimo riscontro di critica e lettori, “Alberi dell’Aquila”, una piccola guida per chiunque voglia imparare a riconoscere e conoscere i concittadini verdi nel capoluogo e nei suoi parchi, di cui medita ora una ristampa e poi “Cento Sfumature di verde”, che allarga lo sguardo sul patrimonio forestale italiano.
“Chiunque penserebbe che il materiale più raro dell’universo siano i diamanti e invece non è vero: è il legno. Esistono pianeti dove piovono diamanti, ma gli alberi li abbiamo solo qui. Querce, betulle, faggi, cedri, abeti con le loro splendide forme, colori e profumi. Quando va bene li bruciamo, senza sapere che in realtà bruciamo il nostro futuro. Lo sfruttamento scellerato non può che nuocere all’umanità stessa. Ne è un esempio eclatante l’isola di Pasqua, dove è ormai certo che la sua civiltà si estinse proprio perché tagliarono, per un motivo o per un altro, tutti gli alberi di cui l’isola era piena prima del loro arrivo. La fine dei boschi determinò la fine della società che li abitava “, spiega nell’intervista ad Abruzzoweb.
Esquilino, aquilano da sempre, è laureato in economia e commercio. Una materia effettivamente poco affine agli alberi, ma anche nella tesi di laurea è riuscito a fondere, per un attimo, le due cose scrivendo un libro di circa 350 pagine su un’economia che non sia nemica della sostenibilità, precisamente sull’impronta ecologica come indicatore economico.
Il mondo vegetale è del resto tornato di forte attualità nel dibattito culturale e filosofico, si pensi ad autori come il biologo americano Andreas Weber e in Italia a Stefano Mancuso, che mettono in risalto un aspetto centrale del mondo vegetale: il fatto, denso di implicazioni e riflessioni, che le piante, a scrivere è Mancuso, “prendono tutto ciò di cui ha bisogno dalla luce del sole, non hanno necessità di sopraffare per vivere. Mentre gli animali hanno, come spinta primordiale, quella di dover sopraffare altri esseri viventi per sopravvivere, le piante hanno al contrario la necessità di unirsi agli altri per esistere”. E ancora, “noi animali siamo individui. Se taglio in due un uomo o un cane, muore. Se un bruco le perforasse la testa morirebbero. Le foglie vengono sempre perforate da bruchi, ma le piante non muoiono. La pianta non è un individuo, la pianta è una rete. La pianta non è un individuo, è una colonia. Una pianta è una rete in sé e per sé, un bosco è una rete di reti. perché devono resistere alla predazione”, senza poter fuggire, restando ferme dove sono,
Ecco spiegato perché le piante, sono dal punto di vista dell’evoluzione, molto più competitive e “intelligenti” dell’uomo, e infatti sono comparse sul pianeta milioni di anni prima dell’uomo, e continueranno a vivere anche quando l’uomo si sarà estinto, al netto, e forse per colpa, del suo istinto predatorio e delle sue clave ipertecnologiche.
I libri di Esquilino sono di fatto avvincenti proposte di itinerari turistici, alla scoperta di patriarchi vegetali, e spiega nell’intervista: “In Abruzzo abbiamo niente di meno che l’albero selvatico più alto d’Italia, è un abete bianco di 56 metri, relitto delle ere glaciali. Si trova all’interno della riserva regionale Abetina di Rosello, in provincia di Chieti. Nei dintorni dell’Aquila è sicuramente degna di nota la quercia di Basanello a Barete, chiamata anche la quercia delle fate per il suo magnifico aspetto che ha 700-800 anni d’età”. Come non citare poi le splendide faggete del Sirente e di Val Cervara, e i pini neri di Villetta Barrea”.
Ma l’albero preferito di Fabio Esquilino è il cedro, “in tutte e tre le sue specie: dell’Himalaya, dell’Atlante e del Libano”. È un sempreverde innanzitutto, ha una resina profumatissima, è possente, ha un legno resistentissimo al tempo e ai parassiti, e poi ha una chioma tutta spettinata, un po’ come me”.
Fabio Esquilino, come è nata l’idea di scrivere i tuoi due libri e in generale da dove nasce questa passione per il mondo vegetale?
La mia passione per tutto ciò che è “verde” è ancestrale, praticamente è da quando ho memoria che sono attratto dagli alberi e dalla natura in generale. Forse 3 o 4 anni, quando mio padre e mia madre mi insegnavano le prime parole. Guardo un albero e ne rimango affascinato, come fosse una Cattedrale gotica o la Pietà di Michelangelo. Fra l’altro questa passione è legata ad un’altra, quella del tiro con l’arco storico con cui sono arrivato 3 volte sul podio del campionato italiano (due volte al primo posto). Alberi, arco, e anche una passione per la storia e il medioevo in particolare. Che sia stato uno della banda di Robin Hood? Scrivere libri è, invece, una conseguenza: è uno dei modi per condividere con gli altri ciò che so sugli alberi. Non sono bravissimo in questo, ma l’impegno non mi manca.
E’ stato detto da Stefano Mancuso che gli extraterrestri alla vista della Terra, alla domanda “chi ci abita in questo pianeta?” non avrebbero dubbi a rispondere: dalla vegetazione, che in effetti rappresenta oltre il 95% della biosfera e della massa vivente. Ma perché noi terrestri non ne siamo più consapevoli?
I “terrestri” purtroppo non sono consapevoli di molte cose. Nietzsche disse “di tutto conosciamo il prezzo, di niente il valore”. Benché non apprezzi particolarmente il filosofo tedesco riconosco che con questa frase ha colto perfettamente un aspetto (negativo) dell’uomo: non riusciamo a valutare correttamente ciò che abbiamo. In nessun campo fra l’altro, compreso quello relazionale, per cui mi viene il sospetto che sia una caratteristica insita nell’uomo. Chiunque penserebbe che il materiale più raro dell’universo siano i diamanti e invece non è vero: è il legno. Esistono pianeti dove piovono diamanti, ma gli alberi li abbiamo solo qui. Querce, betulle, faggi, cedri, abeti con le loro splendide forme, colori e profumi. Quando va bene li bruciamo, senza sapere che in realtà bruciamo il nostro futuro. Lo sfruttamento scellerato non può che nuocere all’umanità stessa. Ne è un esempio eclatante l’isola di Pasqua, dove è ormai certo che la sua civiltà si estinse proprio perché tagliarono, per un motivo o per un altro, tutti gli alberi di cui l’isola era piena prima del loro arrivo. La fine dei boschi determinò la fine della società che li abitava. Chiunque penserebbe “erano sciocchi”, ma a ben vedere è, in misura planetaria, ciò che stiamo facendo noi proprio in questo momento. Consumare risorse fino a concorrenza della loro rigenerazione sembra un concetto estremamente facile da capire, ma poi nella realtà concreta le azioni si orientano all’opposto. La verità è che noi abbiamo bisogno di loro perché senza non potremmo vivere, mentre loro non hanno bisogno di noi.
Quali sono gli alberi degni di attenzione, di menzione, qui in Abruzzo?
Qui in Abruzzo abbiamo gioielli di altissimo pregio, a cominciare dall’architettura. Peccato che siano poco conosciuti, a volte neanche dagli stessi abruzzesi. Tralasciando l’architettura, posso dirvi che qui in Abruzzo abbiamo niente di meno che l’albero (selvatico) più alto d’Italia! Proprio così, e nessuno, o quasi, lo sa. E’ un abete bianco di 56 metri, relitto delle ere glaciali. Si trova all’interno della riserva regionale Abetina di Rosello, in provincia di Chieti, definita il bosco incantato per la presenza anche di specie animali molto rare come il lupo appenninico, il gatto selvatico e il nibbio reale. Come non citare poi le splendide faggete del bosco di Sant’Antonio, del Sirente e di Val Cervara? Il Parco Nazionale poi preserva specie uniche come il pino nero di Villetta Barrea. Ma volendo passare dalla semplice osservazione alla praticità si possono menzionare i castagneti a nord-est della regione, che in autunno ci regalano sempre moltissimi frutti.
A L’Aquila e dintorni, invece?
Nei dintorni dell’Aquila è sicuramente degna di nota la quercia di Basanello (Barete), chiamata anche la quercia delle fate per il suo magnifico aspetto (circa 7 metri di circonferenza, circa 30 metri di diametro della chioma e 7-800 anni d’età). Purtroppo il nome con cui è conosciuta le rende veramente poco onore e sinceramente è anche spiacevole a sentirsi: “la cacatora”, riferito al fatto che produce molte ghiande. Bah, sarebbe da denuncia chi le ha dato questo nome. Lì vicino, a Cagnano, c’è una quercia ancora più grande chiamata quercia di Zì Cò (da Zio Cosimo di Paola, il vecchio proprietario), ma purtroppo è stata centrata da un fulmine che ne ha dimezzato la chioma. Oltre a queste due ce n’è un’altra a Marruci: di questa non se ne parla mai, ma non ha nulla da invidiare alle precedenti. Me la segnalò un collega qualche anno fa, conoscendo la mia passione, ma attualmente non ha né un nome né un posto fra gli alberi monumentali, una pecca che andrebbe colmata al più presto.
Con un tuo libro hai poi fatto scoprire agli aquilani i tesori del parco del Castello, e in giro nella città…
Qui a L’Aquila abbiamo più di 40 specie soltanto nel parco del castello! In tutta la città ce ne sono addirittura 100! (anche se a me piace pensare che siano 99, tanto per essere in linea con la nostra tradizione numerica). Lecci, ippocastani, abeti, pioppi (enormi i due bianchi alla Villa comunale), tigli, frassini. Ma anche specie più rare come sequoie, tassi, libocedri, spino di Giuda, Aranci degli Osage, sophore, araucarie, alberi dei tulipani, alberi dei sigari, ginkgo, paulonie e palme del Giappone. Praticamente una città immersa in un giardino botanico. E neanche gli stessi cittadini lo sanno. Anche per questo ho più volte fatto, in proficue collaborazione con associazioni cittadine, dei giri turistici per illustrare queste specie di alberi ai miei concittadini. I social possono essere d’aiuto per fare ammirare una piccola parte della bellezza che abbiamo e mi servo di Instagram per pubblicare foto della flora abruzzese; curo la pagina “Alberi erbe e fiori d’Abruzzo” insieme a Francesca, la mia inseparabile e insuperabile compagna.
Cosa ci posso insegnare gli alberi, nel loro funzionamento, nel loro mutuo appoggio, nel non essere individui, ma reti della vita?
San Bernardo da Chiaravalle disse la cosa più giusta: “troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”. Frase tanto giusta quanto misteriosa perché il senso non fu mai spiegato dal sant’uomo. Forse è meglio così, o forse addirittura era voluto: è proprio perché la lezione insegnata è intima per ognuno, ogni persona trova la sua personale risposta che quindi non è universale. Dobbiamo essere saldi come rocce? O flessibili come salici? Rudi come cortecce o aggraziati come fiori? Ognuno vedrà nel bosco ciò che Dio gli vorrà far vedere. Oltre questo livello spirituale possiamo imparare poco dagli alberi, siamo praticamente due specie aliene capitate per caso sullo stesso pianeta. La struttura stessa delle cellule è profondamente diversa (noi basati sul ferro, loro sul magnesio) quindi figuriamoci: l’uomo ha una sua struttura sociale a cui inconsciamente, volente o nolente, tenderà sempre.
Il patrimonio forestale è sufficientemente sviluppato, valorizzato in Abruzzo in chiave turistica e culturale?
La risposta è certamente no. Il confronto non andrebbe mai fatto, ma se vogliamo parlare di sviluppo turistico è inevitabile il raffronto con altre regioni. Vi faccio un esempio: all’interno del Parco Mazzini a Salsomaggiore terme hanno il percorso botanico “Alberi della Regina” di cui se ne vantano perché ci sono 18 specie di alberi diversi.
Ho visitato spesso le regioni dell’arco alpino e ho visto come sanno valorizzare ciò che hanno. Villa Melzi sul lago di Como, il giardino botanico di Ome vicino Brescia, lo splendido arboreto di Arco: sono tutti esempi di come una particolare sensibilità degli abitanti si sia poi riflettuta su strutture ad hoc che con il tempo hanno inevitabilmente richiamato un certo tipo di sano turismo, o comunque ne sono state sicuramente partecipi.
Che effetti potrebbero avere i mutamenti climatici in termini di patrimonio forestale?
Questo è un argomento a cui sono inevitabilmente legato visto anche la tesi di laurea che scrissi. Le temperature sono in accrescimento e questo è fuor di dubbio. Che sia o meno imputabile all’uomo non siamo in grado di dirlo, ma io ho il forte sospetto che le attività umane hanno una inevitabile ricaduta sull’ambiente. In che misura sia non saprei dirlo, ma in una situazione di crisi anche un minimo peso può fare la differenza. Gli effetti di questi mutamenti saranno epocali (basta pensare alle estinzioni di massa che ci sono state nelle ere passate), ma per fortuna avverranno in un arco temporale talmente lungo che non avremo modo di accorgercene tangibilmente. Oppure no?
Parliamo di biodiversità abruzzese, è davvero così particolare e importante?
La biodiversità è fondamentale e pensare che si possa vivere in ambienti stagni è impossibile. Questo su tutti i livelli, dal visibile all’invisibile. I batteri vengono sempre dipinti come nemici o comunque come bestie immonde da debellare, ma in realtà sono per lo più nostri alleati che nostri nemici. Una volta fecero un esperimento con dei topi (poveri animaletti) facendoli vivere in ambienti perfettamente asettici: morirono tutti entro brevissimo tempo. Noi siamo fatti per vivere immersi in questo mondo e in questa natura. Certamente questo però non significa fare il bagno nella fanghiglia dei cinghiali.
Ne approfitto per riprendere una delle domande precedenti, precisamente quella su cosa possono insegnarci gli alberi. Ecco questo è un bel caso perché molte volte si fa l’errore di riportare ciò che funziona in un determinato contesto in un altro. Proprio la biodiversità è utilizzata spesso per fare un parallelo con la società e la cultura dei popoli umani paventando una propensione alla diversità come se fosse qualcosa di positivo: ecco io non ne sarei così sicuro. Anzi forse è vero l’opposto, cioè la forza di un popolo è nella sua comune visione del mondo. Qui avrei decine di esempi da illustrare essendo, fra l’altro, appassionato anche di storia, ma uscirei fuori tema.
Ok, allora ci limitiamo a chiederti: quali sono i tuoi alberi preferiti?
Il mio preferito in assoluto è il cedro. In tutte e tre le sue specie: dell’Himalaya, dell’Atlante e del Libano. E’ un sempreverde innanzitutto, ha una resina profumatissima, è possente, ha un legno resistentissimo al tempo e ai parassiti… e poi ha una chioma tutta spettinata, un po’ come me.
Progetti futuri, o per restare in tema, quali semi stai gettando?
Nel 2015 scrissi in collaborazione con Legambiente un libro sugli alberi dell’Aquila. La Fondazione Carispaq finanziò gentilmente il progetto, ma riuscimmo a fare un libro illustrando soltanto 50 delle 100 specie presenti. Il libro andò a ruba e le 500 copie messe a disposizione finirono presto. Ne sono riuscito a salvare una copia per me per affezione. Ecco mi piacerebbe fare una ristampa di quel libro e completarlo un secondo volume che contenga le specie mancanti.