L’AQUILA – E’ il convento di Sant’Angelo ad Ocre, che si affaccia sulla conca aquilana, un luogo in cui l’anima spazia senza confini, e trova nello stesso tempo raccoglimento. Aggrappato ad uno sperone del monte Circolo, sembra scolpito nella pietra, come la mitologica Meteora in Grecia, ma in terra d’Abruzzo.
Gioiello d’audacia architettonica, che racconta anche dell’operosità di frati francescani che presero possesso di quel che restava di un monastero di suore benedettine, devastato dai terremoti del 1.456 e del 1.461, e in pochissimi anni, si dice meno di cinque, lo ricostruirono da capo, bello come prima, lavorando essi stessi, rimboccandosi in cantiere le maniche del saio.
Anche oggi il convento è inagibile e vuoto, gravemente lesionato dal terremoto del 6 aprile 2009, e passati che sono ben 14 anni, ancora non viene restaurato e neppure consolidato.
L’appalto, in mano al Provveditorato alle opere pubbliche, dovrebbe andare a breve a bando, con la progettazione conclusa, e si spera che i lavori partano in autunno, per un importo di circa 5 milioni di euro.
Eppure, nonostante ciò, sono state oltre 3mila le persone, arrivate anche da fuori provincia e regione, che hanno visitato il convento, eccezionalmente riaperto, durante il week end del 25 e 26 marzo, grazie alle giornate Fai di Primavera.
A riprova di che occasione sprecata, e di che danno economico e culturale, sta rappresentando la insopportabile lentezza del processo di ricostruzione, caso non certo unico, sul fronte degli edifici pubblici ed ecclesiastici.
Ad accogliere i visitatori e a raccontare la storia del sito, c’era l’architetto aquilano Mauro Pasqua,delegato Fai per il territorio aquilano, che commenta ad Abruzzoweb: “Per me questo è davvero un luogo del cuore, sembra un prodigio della natura, ma in realtà è opera dell’uomo. La stessa epopea della sua ricostruzione, fa di questo convento un luogo straordinario. Pensate che i frati, lavorando in prima persona, e realizzando in particolare i tetti in legno, gli infissi, gli elementi in ferro, sono riusciti non solo a ridurre le tempistiche, molto più brevi di quello che accade ora, ma anche a risparmiare ben 1.300 fiorini, che poi hanno donato al cantiere, che si era fermato per mancanza di fondi, della basilica di San Bernardino dell’Aquila”.
Ad affidare il convento ai frati minori, nel 1480 è stato il papa Sisto IV, lo stesso che avviò fu la realizzazione della Cappella Sistina che in seguito, durante il papato del nipote Giulio II, sarà affrescata da Michelangelo. E qui venne a vivere il beato Bernardino da Fossa, infaticabile e dotto predicatore, allievo di San Giovanni da Capestrano, il frate guerriero, e Timoteo da Monticchio, figlio di umili contadini, che ebbe in dono le visioni frequenti della Vergine e di San Francesco.
“Se andiamo ad analizzare la struttura – prosegue Pasqua – va evidenziato che la posizione scelta consente al convento di ricevere il sole tutto il giorno. La chiesa poi era posizionata a nord ovest, mentre il refettorio è situato a sud-est, per godere del massimo dell’insolazione e del calore. Il progetto fu elaborato verosimilmente da frate Francesco, figlio di Paolo, che già stava lavorando alla basilica di San Bernardino”.
Una curiosità: dopo 450 anni, il responsabile unico del provvedimento per il Provveditorato alle Opere Pubbliche, segno del destino, si chiama Francesco Di Paolo.
Entrando dentro il convento, evidenti sono i danni lasciati dal sisma, con profonde crepe sui muri, anche nella parte accessibile e messa in sicurezza. Le 23 lunette del chiostro sono tutte affrescate, con il ciclo della vita di Sant’Antonio da Padova, gli stemmi delle famiglie che sostenevano i il convento e i frati, banner pubblicitari ante litteram.
Curioso l’affresco in cui spiccano due piedi sinistri di un personaggio mutilato. Vuole la leggenda che fu un errore intenzionale del pittore, a sfregio, perché non era stato pagato nella misura pattuita dai frati, ma vi sono anche altre interpretazioni più erudite.
All’ingresso fanno bella mostra gli alberi allegorici dei rami dell’Ordine Francescano, maschile e femminile, che gemmano a partire da San Francesco e da Santa Chiara.
Ma l’affresco più prezioso è senz’altro quello dell’Ultima cena nel refettorio, realizzato da un allievo di Saturnino Gatti, che si dice acquisì le sue doti pittoriche da Leonardo da Vinci, che conobbero infatti nella scuola del Verrocchio.
Tutti i nomi degli apostoli sono scritti nell’aureola, tranne quello di Giuda il traditore, che al fianco di una mano ha un coltello, nell’altra stringe i trenta denari. Su un tirante rivestito in legno a sembianza di trave c’è un’iscrizione latina: “silentium oris et pedum”, un invito ai frati a non fare rumore né con la bocca né con i piedi, per celebrare il momento solenne dei pasti.
Nella chiesa spicca invece il San Michele che scaccia il Demonio, realizzato dal pittore fiammingo Aert Mytens, lo stesso artista che nel coro di S. Bernardino dipinse la Crocifissione nel 1600, e poi ancora una rappresentazione del Re David con l’arpa, datato 1790 e di autore ignoto.
Abbandonato dai frati osservanti a seguito delle leggi di Napoleone, il convento andò in decadenza, e fu trasformato anche in lazzaretto durante una delle pesti che flagellò la conca aquilana. Chiuse i battenti nel 1860 e fu riaperto agli inizi del XX secolo, tornando ad ospitare una comunità di frati francescani, fino a qualche anno prima del terremoto del 2009.
Ed ora anche Mauro Pasqua sogna che l’assorto silenzio del monte Circolo, sia spezzato dal rombo dei camion, dal vociare delle maestranze, dal roteare ipnotico delle betoniere
“Auspico che il progetto preveda la rimozione dei tetti in cemento armato, realizzati dal Genio Civile negli anni ’60, che tanti danni hanno causato a tutti gli edifici monumentali. La speranza, inoltre, che vi sia un ufficio di Direzione dei lavori ‘dotto’, perché il restauro è prima di tutto un’operazione culturale e poi tecnica e, per affrontarlo occorre un’alta formazione culturale, talvolta ignorata da Soprintendenze e Provveditorato. Le logiche sono sempre le stesse, eppure di fronte ad un monumento così importante, bisognerebbe inginocchiarsi in segno di rispetto, prima ancora di affrontare qualsiasi operazione”.
Il successo delle due giornate del Fai, con 700 visitatori il sabato, e ben 2.500 la domenica, conferma intanto che straordinario potenziale di attrattività ha questo sito, per la sua storia, e per la sua posizione, che è un unicum in Italia.
“Un bene culturale che può essere messo a sistema con la vicina necropoli vestina, con il castello di Ocre, con la chiesa di Santa Maria ad Cryptas e il suo meraviglioso ciclo di affreschi, con lo stesso centro storico di Fossa – propone Pasqua -. Un percorso anche naturalistico: tanti visitatori sono arrivati a piedi, scendendo da San Panfilo d’Ocre, o salendo dalla vallata. Occorre un sussulto delle coscienze, e stringere i tempi per poter finalmente restituire all’Abruzzo questo gioiello, restaurato, fruibile tutto l’anno, e magari dotato di servizi e spazi espositivi. Con una maggiore attenzione e sensibilità verso il nostro patrimonio culturale ed ambientale, che non avrebbe la concorrenza dei cinesi, si potrebbe arrestare lo spopolamento dei nostri splendidi borghi e creare migliaia di posti di lavoro grazie a questo nostro ‘petrolio’ per evitare che l’85% dei nostri giovani fugga verso altre città od altre nazioni, come avviene adesso”.