ROMA – All’aeroporto di Bologna si può prendere un aereo, ma non il caffè al tavolo, senza il green pass rafforzato. A Francoforte bisogna compilare un Passenger locator form (Plf) ma nemmeno gli equipaggi dei voli sanno esattamente quando. A Bruxelles non viene controllato. E a Copenaghen la pandemia sembra ormai un ricordo del passato.
Dal primo febbraio sono in vigore nuove regole per bloccare alla frontiera il Covid-19. Ma ancora una volta, all’interno dell’Unione europea, si tratta di regole diverse, applicate in modo diverso. In Italia viene fissata a sei mesi la scadenza del green pass con la seconda dose. A livello europeo la durata è invece di nove mesi. E non esiste il super green pass, ossia quello che riconosce solo vaccino o guarigione e non prende in considerazione il tampone negativo.
La giornata dell’inviato Agi, Brahim Maarad, nei cieli dell’Ue decolla dall’aeroporto Marconi di Bologna. Destinazione Bruxelles Charleroi.
Partenza alle 10.30 del primo febbraio. Una telecamera dalla simpatica forma del viso di un panda controlla, con discrezione, la temperatura di chi arriva. Sopra i 37,5 gradi salta il viaggio. Per accedere alla zona imbarchi è necessario il green pass europeo. Per salire a bordo serve la mascherina Ffp2 “o superiore”. Per consumare ai tavoli dei bar e dei ristoranti dello scalo è necessario esibire il green pass rafforzato. “Da portare via, al banco o al tavolo?” Chiede la barista a chi ordina un caffè. Ogni risposta apre uno scenario diverso. “Servono carta d’imbarco e Plf compilato online”, è l’ammonimento che rivolge la hostess ai passeggeri che intendono imbarcarsi per il Belgio. Il green pass, in questa fase, paradossalmente non viene chiesto. In tanti si mettono a compilare il Plf al telefono, l’ultima forma del last-minute. “Tanto a Bruxelles non lo controllano mai”, giustificano la propria negligenza.
In effetti all’arrivo non c’è nessuno che controlli nulla. Ma in serata arriva la mail delle autorità sanitarie belghe: “Esente da quarantena e test perché vaccinato”.
Aeroporto Bruxelles Zaventem. Volo per Copenaghen con scalo a Francoforte. Decollo alle 6.45. Nello scalo il green pass viene controllato solo al check-in, oppure ai tavoli dei ristoranti. Non c’è l’obbligo della mascherina Ffp2. Non c’è un controllo della temperatura corporea. “Carta d’imbarco e Plf compilato elettronicamente”, chiede la hostess a chi è in fila al gate. Anche la Germania lo chiede per identificare gli arrivi dalle aree ad alto rischio. Ovviamente Belgio e Italia sono classificate zone ad alto rischio. A bordo dell’aereo insistono: “Chi non ha compilato il Plf online può farlo con il modulo cartaceo che distribuiremo. Va compilato anche in caso di passaggio per Francoforte”. Una segnalazione che allarma decine di passeggeri che fino ad allora si erano sentiti assolti. Tutti a cercare modulo e penna. Contrordine: “Avevamo capito male, chi è in transito a Francoforte non è tenuto a compilare il form. Ma se vuole, può farlo per sicurezza”, segnala il capo dell’equipaggio scusandosi per l’inconveniente. “Purtroppo le regole cambiano ogni volta”, si giustifica imbarazzato.
A Francoforte ovviamente nessuno controlla nulla. Quasi tutti indossano la mascherina Ffp2, qui obbligatoria ormai da un anno. Il volo per Copenaghen è alle 9.30. L’ingresso per l’imbarco è automatico, basta appoggiare la carta d’imbarco. Senza bisogna di mostrare nulla, nemmeno il documento d’identità. All’arrivo nella capitale danese ci sono i cartelli che chiedono ai residenti in Danimarca di fare un test entro 24 ore dall’arrivo (anche se vaccinati). Ma non ci sono controlli. All’interno dello scalo è ancora presente la mascherina. Man mano che ci si allontana, addentrandosi in città, ci si libera anche di quella. La pandemia è qualcosa di esterno in Danimarca. Almeno dal primo febbraio.