IL VINO DALLA BIBBIA ALL’IA: SPANO’, “RIVOLUZIONE IN ATTO”, “LOGARITMI AL POSTO DEI SOMMELIER”

Agosto 25, 2024 7:48

L’AQUILA – “In un bicchiere di vino c’è più storia di quella che abbiamo studiato sui banchi di scuola: c’è un intero cammino delle genti, che si snoda nel corso dei secoli, e delle quali è compagno silenzioso e strumento di conforto. Il vino ha un passato ineguagliabile e un futuro ancora da scrivere, che come nuovo capitolo, avvincente e inquietante nello stesso tempo, ha come protagonista l’Intelligenza artificiale, già capace di sostituirsi all’enologo e al sommelier. Una rivoluzione da gestire”.

Esemplifica così, Francesco Maria Spanò, noto avvocato, calabrese di Gerace, direttore del personale della Luiss, e con un rapporto molto stretto, sentimentale e professionale con l’Abruzzo e L’Aquila, i sentori culturali della sua ultima fatica da saggista, “Il vino – storia e storie dalla Bibbia all’intelligenza artificiale”, scritto a quattro mani con Erminia Gerini Tricarico, edito da Gangemi.

Un viaggio inebriante, è lecito dire, che ripercorre la storia del vino, dalla Bibbia, dove la parola vino compare 224 volte, e dove leggiamo che Noè, dopo il diluvio, coltivò la vite, e rimediò una delle sbronze più famose e imbarazzanti della storia. Passando poi per l’antichità egizia, etrusca, della Magna Grecia, con la quale la viticoltura si affermò nella nostra penisola. E ancora il viaggio prosegue nella Roma imperiale, e nel mondo islamico, dove il vino era considerato assieme al gioco d’azzardo un inganno de diavolo, ma dove pure si insegnava che nel paradisiaco giardino di Allah, “scorrono ruscelli di un vino delizioso a bersi”, e ci furono straordinarie voci fuori dal coro come il matematico e poeta persiano Umar Khayyām per il quale, “dalla taverna, all’alba, esce un richiamo per il viandante: Avanti, avanti, avanti! La clessidra si svuota, accorri o gramo! Riempi il bicchiere di vino, l’aria di canti”.

Sin dall’antichità alla parola vino si accompagna quella della moderazione, e ha ispirato le opere dei grandi pittori come Michelangelo, Caravaggio, Mattia Preti, Paul Rubens, Diego Velazquez, Manet, Degas, De Nittis e Klimt, solo per citarne alcuni, di compositori, di poeti e di scrittori antichi e moderni. Se l’è vista brutta con il proibizionismo americano, nell’800 ha rischiato di estinguersi con la fillossera, la peronospora e altre malattie, ma è resuscitato più frizzante che mai, conquistando oggi mercati impensabili, come la Cina.

E a fine corsa, un aspetto qualificante del libro è il suo proiettarsi anche nel futuro, affascinante e inquietante, segnato dal fatale avvento dell’intelligenza artificiale.  E si racconta di logaritmi già perfettamente rodati che hanno creato in Francia un vino biologico, calcolando le percentuali di miscela di uve, durata e temperature di macerazione, fermentazione e affinamento.
O anche dispositivi, come Hypertest, che potrebbero rendere superfluo il lavoro del sommelier al ristorante, visto che questa sorta di lingua artificiale è in grado di registrare non solo i gusti ma anche i più sottili tra gli aromi fino a riconoscere varietà, origine, e annata dei vini.
E ci sono anche applicazioni che in fase di produzione sono in grado di sostituire esperti enologi, individuando con esattezza tutti i difetti, il sentore del tappo e l’ossidazione.

Francesco Maria Spanò, cosa l’ha spinta a scrivere un libro sul vino?

Cominciamo con il dire che a me piace il vino. Del resto il libro è dedicato a mio padre e mia madre che avevano una vigna. A mio padre che è stato artigiano del vino che ha saputo trasformare ogni sorso in un’opera d’arte e  mia madre, degustatrice sagace che ha reso ogni calice un viaggio nei sapori  e nei ricordi. Insomma, dopo due libri dedicati al peperoncino e al tartufo nero di Calabria, e un altro allo stoccafisso, ho deciso di affrontatore un tema normalmente intoccabile, perché come possiamo immaginare sul vino si è scritto di tutto e di più, e c’è una pubblicistica enorme. L’idea iniziale con Erminia era stata quella di trattare il vino tipico del mio paese, il Greco di Gerace, un vitigno che ha origine greca, un passito. Poi abbiamo allargato lo sguardo.

Di che economia parliamo, in termini quantitativi, quanto è importante per il nostro Paese il vino?

L’economia del vino fattura 353,4 miliardi di dollari a livello mondiale, con una produzione pari a 25,3 miliardi di litri. E l’Italia è il più grande produttore di vino e a seguire subito la Francia,  in un eterno confronto. E siamo primi anche per la qualità dei vini,  insieme ancora una volta ai francesi.
Parliamo dunque di intelligenza artificiale quali applicazioni ha e quali può avere?

E’ un fenomeno già in atto, noi ci siamo limitati a raccontare quello che già esiste. Ad esempio la prima etichetta, ‘The end’ è stata fatta completamente con l’intelligenza artificiale: trecento bottiglie prodotte, messe sul mercato a 300 euro l’una, ma poi si sono accorti che era invendibile e l’hanno proposta a 30 euro, e poi sono totalmente scomparsi. Ma quello che è interessante è che attraverso i logaritmi dell’IA è ha scelto il tipo di mosto da mettere nelle botti, calcolata la percentuale di zucchero e zuccherina che doveva essere miscelata, i tempi di imbottigliamento,  e persino il packaging.

A leggere il suo libro si deduce che non solo gli enologi e produttori devono preoccuparsi della concorrenza degli algoritmi, ma anche i sommelier…

Certo,  perché hanno già inventato un chip grande quanto una monetina che consente di
stabilire  i sapori e la qualità dei liquidi presenti in un bicchiere, e tra questi c’è anche il vino. In questo caso l’IA è stata ‘addestrata’ inserendo 850mila dati,  e così  di un vino, il chip riesce a stabilire l’origine, la quantità e la e la qualità. E si lavora anche ad un ‘naso artificiale’, capace di cogliere e descrivere le qualità olfattive, esprimere giudizi sui profumi. E allora davvero l’IA potrebbe essere un concorrente molto forte per un sommelier,  che a sua volta in effetti in futuro potrebbe diventare una figura romantica, all’interno di qualche grande albergo di Parigi o di Roma, con una funzione, diciamo così, meramente teatrale. Rimpiazzato  da una monetina, questa la dimensione del chip, a disposizione del consumatore finale.

Quella che descrive è dunque una distopia, disumanizzante che polverizzerà tante professioni e posti di lavoro, oppure rappresenta una opportunità? 

La mia opinione è che può rappresentare una opportunità, se ben gestita e utilizzata.
Sappiamo ad esempio che esistono da sempre le truffe e l’inganno a danno dei consumatori, ad opera di imprenditori che non sono particolarmente onesti. L’IA può costituire una efficace e agevole modalità di controllo sulla qualità e autenticità di ciò che viene prodotto e venduto.
Sicuramente ci potrebbero essere cambiamenti molto negativi, con la sostituzione degli umani con algoritmi, ma dall’altro lato l’IA potrebbe aiutare molto ad aumentare la qualità del vino. Ricordiamoci per esempio che nessuno di noi oggi berrebbe più il cosiddetto ‘vino del contadino’, che diciamolo chiaramente, aveva delle caratteristiche diciamo un po’ troppo severe e strong…

Un capitolo tra i più avvincenti e originali è quello sulla Bibbia: ci offra una degustazione, di quello che si potrà leggere…

I libri che facciamo con Gangemi sono sempre ricchissimi di immagini storiche, di quadri importanti, e stupendi, che parlano insieme al testo.
Pensiamo dunque, per esempio, al primo viticoltore del mondo, che è stato Noè, che è rappresentato da Michelangelo nudo, perché Noè si ubriaca e viene scoperto da uno dei figli che ne fa scandalo. Oppure Giuditta e Oloferne immortalati da Caravaggio nella la celebre scena del taglio della testa del generale nemico di Israele, fatto prima ubriacare. E c’è poi David,  lo stesso eroico David, che sconfisse il malvagio Golia, che per cercare poi di conquistare la  moglie di un suo generale la fa ubriacare, e poi spedisce il marito in guerra come primo ufficiale all’interno della mischia, quindi con l’intento di farlo ammazzare dai nemici. Insomma, nella Bibbia la parola vino compare 224 volte, solo l’acqua e il pane vengono citati più spesso, e il vino figura, va detto, come ospite fisso tra morti ammazzati e fatti ammazzare, incesti e corna. Eppure per gli Ebrei il vino era “allegria del cuore e gioia dell’anima”, purché “bevuto a tempo e misura”, e sull’ubriachezza non avevano mezze misure, perché essa “accresce l’ira dello stolto, a sua rovina, ne diminuisce le forze e gli procura ferite”, come si legge nel Siracide. E Gesù disse, nel Vangelo di Giovanni, “Io sono la vera vite, e il padre mio è il vignaiolo”.

C’è poi l’Islam: perché questa diffidenza nei confronti del vino, e dell’alcol in generale, a differenza del mondo cristiano, che al limite invita alla moderazione e parsimonia? 

Tutto dipende dal Dal Corano, dal loro libro sacro, in cui si afferma che il vino, come il gioco, è il demonio. Almeno su questa terra. Mentre quello che però è interessante è che poi il vino rappresenta il premio che i puri di cuore troveranno in paradiso. Insomma si ammette che è buono, influenza la felicità dell’uomo, ma non può essere piacere di questo mondo.

Torniamo in Italia, chi ha storicamente introdotto e consolidato la viticoltura, e dunque la civiltà del vino?

Gli Enotri, popolo italico  che viveva in un territorio comprendente il Cilento, parte della Basilicata e la Calabria. I Greci arrivarono a colonizzare il sud Italia sicuramente con la loro conoscenza del vino, che non era loro, ma appresa dai popoli caucasici, ma la coltivazione della
vite avveniva secondo un modo naturale, che è quello di far crescere le viti sugli alberi, come pianta rampicante, e non potata. Quando arrivarono nella Magna Grecia, in Calabria, scoprono invece che gli Enotri, ‘il popolo del vino’, avevano già iniziato a coltivare la vita in modo costruttivo, nel modo che oggi anche noi conosciamo, ad alberello. E infatti Enotria significa palo dell’albero di vite, che garantiva una resa e una qualità superiore  e meglio si adattava al clima siccitoso. Più a nord c’erano poi gli Etruschi, che svilupparono tecniche ancor più raffinate. I Romani invece non erano bravi a coltivare la vite, a fare il vino, ma poi, come sappiamo, sono stati determinanti a diffondere la viticoltura, in tutto il mondo allora conosciuto, man mano che il loro impero si ampliava.