L’AQUILA – A prima vista sono solo insolite e suggestive forme circolari, appena accennate, disegnate da pietre e fossati scavati nel terreno, in cima a monti e colli, dove da sempre è possibile godere di panorami superbi. All’occhio attento di chi conosce la storia e sa leggerne le tracce lasciate nei millenni, sono cinte fortificate, od “ocres”, luoghi magici, orientati in base a precisi calcoli astronomici, teatro di feroci battaglie, tra i fieri popoli italici, i figli del Toro, che le realizzarono, contro gli eserciti dei romani, i figli della Lupa, all’alba del potere imperiale, come dimostra la presenza di fromboli, proiettili di pietra affusolati che venivano scagliati con le fionde.
Disseminate in tutto l’Abruzzo, e molti anche nell’aquilano, nei territori colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009, oggi denominato cratere sismico.
“Oggi guardo queste montagne con occhio diverso, non sono solo bellezze naturali, hanno una storia avvincente da raccontare, non ci sono solo le vette da contemplare, ma anche colline dove furono realizzate gli ocres, leggendo le stelle, con un valore religioso e astrologico, non solo militare e strategico. Molti di questi luoghi non sono stati calpestati forse da essere umano da secoli. Che furono teatro anche di feroci battaglie. Luoghi da riscoprire e valorizzare”.
A spiegarlo ad Abruzzoweb il regista pescarese Alessio Consorte, che questo mondo ha inteso disvelare nel documentario Decumano maximo, coprodotto da CF Studio, dalla Fondazione Pescarabruzzo e dallo stesso regista, che si avvale di spettacolari riprese aeree e una minuziosa ricostruzione storica, e sul campo, lunga cinque anni.
Consorte ha raccolto e verificato centinaia di testimonianze, intervistando, tra l’altro, eccellenze dell’archeologia nazionale, esperti della storia e della lingua pre-romane. Adriano La Regina, ex soprintendente, Ezio Mattiocco, archeologo, Paolo Poccetti, docente universitario di Roma, Giuseppe Grossi, archeologo, Andrea Frediani, esperto di battaglie romane, Franco Tullio Marulli ricercatore, Bruno Di Tommaso storico.
Di cinte fortificate ce ne sono, solo nella conca aquilana, nelle frazioni del capoluogo Collebrincioni, Roio, poco distante dal paese, ad Ocre, in particolare in cima all’omonimo monte che domina la vallata, a Paganica, sul colle Manicola, a Sant’Eusanio Forconese, sul monte Cerro, San Demetrio nei Vestini, a Colle Separa.
Siti meno conosciuti, e alcuni nemmeno mappati come il non lontano colle della Battaglia sul Gran Sasso, tra Rocca Calascio e Castel del Monte
“Questi insediamenti – spiega Consorte – sono un unicum sul territorio italiano ed anche europeo, in Abruzzo ce ne sono centinaia e solo pochi hanno una certa notorietà, come Colle della Battaglia a Castel del Monte, ma a ben vedere è conosciuto solo dai cultori della materia, da qualche appassionato, nulla a che vedere con il vicino e giustamente celebre, castello di Rocca Calascio”.
A seguito degli studi in collaborazione con Adriano Gaspani dell’Istituto nazionale di Astrofisica, nel documentario si racconta poi la suggestiva ipotesi che gli ocres siano orientati astronomicamente, a conferma che gli italici erano degli eccellenti cultori e conoscitori della volta celeste.
“Proprio nel realizzare le riprese anche avviandoci di droni e dunque di una visione aerea, è risultato evidente che questi siti sono accusati da un orientamento astronomico. Le linee segnate nel terreno seguono il sorgere e il tramontare delle stelle, in particolare della cintura di Orione, ma anche rispetto al sorgere e tramontare dei punti più estremi della luna. C’è un importante studio in corso, a cui sto collaborando assieme a Gaspani e all’astronoma Silvia Motta. Un approccio importante perché getta luce anche sulla religione e i culti di questi popoli italici, e in particolare sui siti di sepoltura”.
Molto c’è dunque ancora da scoprire lungo il decumano maximo che costituiva la via principale di attraversamento della penisola da est a ovest. Prendendo idealmente le mosse dal tracciato della mitica via Valeria, il documentario è un viaggio nel tempo e nello spazio sulle tracce Guerra sociale, il conflitto epocale che vide opporsi, dal 91 all’88 avanti Cristo, tra Roma e i suoi federati italici, stanchi di dover morire in battaglia per l’espansionismo della Lupa, senza avere però diritto alla cittadinanza, arrabbiati per le leggi agrarie che avevano comportato l’esproprio di molte terre pubbliche possedute da latifondisti italici a solo beneficio di proletari romani.
La scintilla che ha fatto divampare l’incendio, l’uccisione del tribuno della plebe Marco Livio Druso, che avanzò la proposta di legge a favore dell’estensione della cittadinanza romana a tutti i socii. A scendere in guerra Piceni, Marsi, Peligni, Vestini e Marrucini a nord, sotto il comando del marso Quinto Poppedio Silone; Frentani, Sanniti, Apuli, Lucani (e forse Bruzi), Campani a sud, sotto il comando del sannita Gaio Papio Mutilo. I popoli ribelli si organizzarono politicamente in una libera Lega, retta da un Senato di 500 membri ed elesse a capitale Corfinium, oggi Corfinio, vicino Sulmona, poi Isernia, dove mutò il proprio nome da Lega Sociale a Lega Italica. Coniarono persino una propria moneta recavano la scritta Italia; due raffiguravano un toro che abbatteva la lupa romana.
“La guerra, che ha insanguinato l’Abruzzo . spiega Consorte -, si è conclusa con la vittoria di Roma, che aveva il fato dalla sua parte. Vittoria ottenuta con machiavellico pragmatismo, approvando la lex Plautia Papiria che concedeva il diritto di cittadinanza romana a tutte le popolazioni ribelli della Penisola, le quali avrebbero però dovuto lasciare le armi entro 60 giorni. Le defezioni furono inevitabili, e il fronte italico si disgregò. Alla fine dunque gli italici ottennero quello che avevano chiesto, e come avvenuto con tante guerre, il massacro, con il senno di poi, poteva essere anche evitato. Ma ci fu anche chi non depose le armi, perché aveva giurato eterno odio contro la Lupa, ma le ultime sacche di resistenza furono represse con inaudita crudeltà. La lezione per l’oggi è che l’unione tra popoli va perseguita, ma nel reciproco rispetto, nella pari dignità”.